11. La Runa Spezzata

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«Myrhiam.»

La Fatina aprì gli occhi ancora assonnati e distinse una sagoma.

«Chi mi chiama?» mormorò, stropicciandosi il viso per veder meglio. Ma non ebbe bisogno di attendere la risposta: le bastò a mettere a fuoco la figura.

Spaventata, emise un suono strozzato e balzò in piedi: davanti a lei c'era il Pixie, avvolto nel suo lungo mantello verde scuro e con lo sguardo buio fisso su di lei.
Rahae era stata chiara: i Pixie vivevano per uccidere la Fata che li aveva creati; non c'era tempo da perdere.

Si guardò attorno, per capire dove si trovava; ricordava a malapena cosa fosse successo e nulla, in quel luogo, la aiutava a orientarsi. Tutto era bianco, e una leggera foschia appannava l'orizzonte; dove diamine era finita?

«Ecco qui, Myrhiam. Il creatore e la sua creatura si fronteggiano in un sogno... qui nessuno può disturbarci.»

Myrhiam registrò l'informazione senza domandarsi il perché e il per come: si trovava in un sogno, e doveva uscirne subito, immediatamente, senza indugi. Prese a pizzicarsi il polso, maledicendosi per essersi addormentata. Anzi, si domandò quando mai si fosse addormentata.

«Non ti servirà.»

Per tutta risposta, la Fatina si graffiò la pelle con più foga, sperando che la cosa l'avrebbe aiutata a destarsi. Forse non era troppo tardi per salvarsi.

«A noi.»

Il Pixie si era fatto avanti, lento come un predatore, fino a trovarsi a portata di Myrhiam. Un momento prima che lei potesse recuperare le distanze, le balzò addosso. Le sue mani erano una morsa gelida.

Myrhiam si sentì perduta. Era sola, svuotata della Linfa per aver invocato la Speranza e troppo debole per opporsi a quella presa ferrea. Cercò di divincolarsi con tutta la forza che restava, mentre la sua mente galoppava: se le rimaneva anche un briciolo di magia nelle vene, era il momento di consumarlo.... ah, se solo fosse riuscita a pensare a qualcosa, a qualsiasi cosa in Elfico...!

Il Pixie non cedeva; a ogni moto di ribellione serrava la presa, quasi paziente, certo che di lì a poco ogni resistenza sarebbe cessata. Finché, approfittando di un'esitazione in cui Myrhiam prendeva fiato, si sporse su di lei, le si gettò addosso di peso e le fece perdere l'equilibrio. Appena furono a terra, le posò un dito rovente sulla fronte e vi tracciò un simbolo preciso.

La sensazione di puro dolore che Myrhiam provò non assomigliava a quella che derivava da una normale ferita. Era come se l'indice del Pixie le stesse penetrando nei pensieri, bruciandoli, oltre che nella carne; provò una sofferenza così profonda e divorante che non poté fare altro che gridare e piangere.
Ma appena una lacrima le scivolò sulla guancia, i suoi patimenti si tramutarono in disgusto: lui la asciugò rapidamente, passandoci sopra la lingua e ritirandola subito dopo.

Myrhiam non ebbe tempo di protestare o di reagire, perché presto la tortura riprese. Il dito del Pixie riprese a corrodere con un gesto la sua pelle e il suo spirito, e due falci opposte, come uno spicchio di luna spezzato, furono marchiate a fuoco sulla sua fronte.

La Fatina era sul punto di svenire per il dolore, ma qualcosa la richiamò a sé stessa: percepì il fiato del Pixie avvicinarsi; riprese conoscenza. Spalancò le palpebre e vide che quello stava per posare la sua bocca sulla sua.

«No» disse; non poteva finire così.

Quando sentì le labbra incandescenti del Pixie sfiorare le sue, riuscì infine a parlare in Elfico.

«Sono sveglia!»

Qualcosa la strattonò per le spalle, e poi fu tutto nero.

«Myrhiam!» esclamarono in coro le voci di Vejasor e di Fata Rahae.

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora