49. Noelìa

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Il tempo di salutare Vejasor, girellare per le stanze della principessa e sprimacciarsi le mani fino a farle pizzicare, che Taentil era tornata.

«Mia sorella è pronta a riceverti.»
Scostò le perline della porta e invitò Myrhiam a passare. «Non facciamola aspettare.»

Scesero scale e attraversarono corridoi privi di finestre, illuminati da un lungo mosaico floreale che brillava qualcuno vi passava accanto. Taentil aveva scelto un percorso che Myrhiam immaginò essere segreto o riservato a lei sola, perché oltre le pareti si udivano voci e movimenti, ma negli anditi non c'era anima viva.

«Cosa si aspetta da me la regina?»

«Conoscerti» replicò. «Presto definiremo nei dettagli chi sei e da dove vieni, ma per ora sii solo la figlia di Caillon che chiede protezione alla signora della Marca.»

Myrhiam non avrebbe voluto chiedere protezione a chicchessia, anzi, non avrebbe voluto proprio incontrare altri sovrani elfici, ma bisognava adattarsi.

«Quando arriverà Vejasor?»

«Dopodomani. C'è poco tempo, ed è meglio così. Meno stai a Palzzo, più sei al sicuro.»

La principessa spinse un battente, il cui chiavistello scattò tanto fragorosamente da echeggiare nell'oscuro salone su cui si apriva.

«Andiamo. Non sarà sola ancora per molto.»

La sala del trono era buia, e Myrhiam giudicò sorgesse al centro del Palazzo, dal momento che aveva una sola, grande lanterna vetrata sul soffitto. La luna crescente si era alzata abbastanza perché i suoi pallidi raggi filtrassero all'interno e irrorassero di luce argentata il trono e la creatura che lo occupava.

La regina Noheja sedeva immobile, con le mani strette ai braccioli di legno dipinto, su un alto scranno al quale si accedeva mediante una maestosa scalinata di marmo. Dietro il seggio, alle spalle della sovrana ammantata di viola, c'era una enorme scultura simile a una falce di luna diafana e luminescente.

Taentil non consentì a Myrhiam di esitare o di mostrarsi intimidita, perché si mosse decisa verso il trono; a poca distanza dai ripidi gradini, si inginocchiò. La Fatina fu abbastanza presente a sé stessa per imitarla, ma non per controllare un antipatico e inopportuno martellio nel petto.

«Che ella sollevi il volto e drizzi le ginocchia.»

Noheja si alzò dal trono e, seguita dal suo infinito strascico, scese gli scalini.

«Grande è la delizia che proviamo nel ricevere questa Fata come ospite, colei dalla quale ci aspettiamo imprese meravigliose. Taentil ci ha recato la sua supplica, e abbiamo il piacere di acconsentire: celeremo la sua vera identità al sovrano di Xtyglen, se questo occorre a compiere il suo destino.»

La voce vaporosa di Noheja, che non assomigliava affatto a quella dura e limpida di Taentil, proseguì il discorso solo quando la regina ebbe disceso tutta la scalinata.

«Che la Fata non sia timida: si rialzi, perché è degna di stare al nostro cospetto da pari, e non da suddito.»

A quel secondo invito, Myrhiam sollevò il capo e finalmente incontrò lo sguardo di Noheja: trattenne appena un'espressione sorpresa. Era quasi identica a Taentil, se non per i capelli arricciolati, striati di ciuffi bianchi, e per gli occhi dal taglio più sottile. Non aveva alcuna corona, ma portava in mezzo alla fronte un brillante a forma di stella.

«Le fattezze della Fata sono delicate, eppure non così eteree» mormorò la regina che, malgrado stesse fronteggiando Myrhiam, parlava come se non potesse essere udita. «Se non fosse per gli occhi scuri e le orecchie rotonde, ci apparirebbe un'Elfa. Comprendiamo ora come sia stato facile ingannare la Sacra Corona.»

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaWhere stories live. Discover now