9. Il Guanto della Sfida

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«Quindi il piano è questo: dormire nelle grotte, procurarsi cibo crudo, lavarsi nel torrente» ricapitolò Enorhik, mentre Aherdan si allontanava per cercare altre bacche. «E neanche un goccio di vinello per sopportarlo.»

«Ora conosciamo il mirabile vantaggio di essere prescelti dalla Fenice» commentò Myrhiam, strappando un bocciolo rosato dal fiore di un trifoglio. «Vivere con sobrietà.»

«In tutti i sensi.»

Si trovavano in una macchia erbosa sui pendii della piccola valle di Shanai e stavano consumando la colazione. Il sole era da poco sorto, e il cielo terso preannunciava una giornata luminosa; per fortuna, il vento era calato.

«Come hai dormito, stanotte?» chiese Enorhik, abbarbicato a un arbusto di ginepro.

Myrhiam svolazzò sulle corolle come un colibrì, e rispose solo dopo aver sfilato dalle infiorescenze i dolci pistilli che voleva mordicchiare. «Mi fa male tutto, e non capisco se sia per colpa degli allenamenti o per il materasso di pietra, gentilmente offerto dallo Shanast.»

«Direi un buon cinquanta e cinquanta.»

Myrhiam sbuffò. «Che poi non capisco a cosa serva dormire e mangiare crudo come dei merli.»

Enorhik rispose masticando. «La frutta fresca non è male.»

«Ma per pranzo...? Cioè, come fai a pranzare senza pane?»

Enorhik deglutì. Dall'espressione che riservò alle bacche, dovette trovarle improvvisamente inadeguate ad assolvere il gran compito di saziarlo.

«Che vita è, senza pane?» ribadì Myrhiam. «Persino a Shelrah, col caldo che faceva, lo cucinavamo, appena arrivavano gli ingredienti dal messo delle Fate.»

«Vabbè dai» risolse Enorhik. «Tra una settimana ci viene a prendere Fata Feram. Recuperiamo con lei.»

Myrhiam si rabbuiò; il pensiero di tornare con Feram non la faceva sentire meglio.
Enorhik fraintese la sua espressione, e sputò i semi che stava facendo girare in bocca. «Sta' calma» le disse. «Senza pane si sopravvive. Male, ma si vive.»

«Ha vietato anche la Magia» rincarò, polemica. «Cioè, siamo Fate. Come ce la caviamo senza Magia?»

«Io benissimo, dato che non la so usare.»

«A me, invece, la Magia è l'unica cosa che viene bene.»

Enorhik si accigliò. Myrhiam vide che qualcosa gli aveva fatto arruffare i capelli, ma non capì esattamente di che si trattasse.

«Riguardo a questo» si spiegò lui. «D'ora in poi, evita di uscirtene con cose tipo "non ho mai visto una spada ed è già tanto che so da che parte taglia".»

Myrhiam restò basita.

«Ne va della tua dignità» insistette lui.

«Non ho mai detto una cosa del genere!»

«Certo che l'hai fatto. Ieri, in armeria.»

«Non ho usato di sicuro queste parole.»

«Comunque, non suonava bene neanche la tua versione.»

Il risentimento di Myrhiam si trasformò in senso di colpa. «Io non so combattere.»

«E allora?»

«Volevo avvertirla.»

«Di cosa? Che sei una recluta? Dai, Myrhiam! Non sei così male, ma se vai a dire in giro che sei imbranata, gli altri penseranno che sia vero.»

Myrhiam lo fissò, mentre ruminava il suo ultimo pistillo. «In che senso "non sono così male"?»

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora