48. La Principessa di Nohot

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Oltre il portale disegnato dalla Chiave di Feram, il cielo della Marca della Luna Crescente era sospeso in un crepuscolo dalle sfumature irreali. Prima di attraversare il varco, Myrhiam contemplò lo spettacolo dell'orizzonte turchese che sconfinava, acquarellato di luce aranciata, nel blu intenso e uniforme della cupola celeste.

«Andate prima voi; io chiudo la fila, così ricucio lo strappo dimensionale.»

Myrhiam e Nelgon ubbidirono simultaneamente, e finirono per scontrarsi; invece di cedere il passo l'una all'altro, si diedero una spallata, borbottarono improperi e alla fine passarono insieme. Dalla sua, Feram sospirò.

«Possiamo smetterla di comportarci da imbecilli? Peggiorate ogni giorno.»

Era vero. Myrhiam non aveva mai detestato Nelgon come allora: con Feram faceva il carino e il servizievole, mentre a lei rendeva la vita impossibile. La stuzzicava continuamente con battute maliziose, la apostrofava sottovoce e sembrava volerla intralciare in tutto, tagliandole persino la strada durante le passeggiate. Va bene lasciar perdere una, due, tre volte... ma alla quarta ne aveva avuto abbastanza.

«Un po' di dignità» fece Feram, afferrando l'aria per richiuderla sul portale. «Gondre merita dei rappresentanti migliori di così.»

Nessuno fiatò e Feram parve accogliere il silenzio come un segno di buona volontà.

«Gambe in spalla. Ci vorrà una buona mezz'ora. Il Palazzo sembra vicino, ma solo perché siamo sul ciglio di questa Dimensione. Copritevi bene coi cappucci: nell'oscurità il nostro bagliore si nota.»

Myrhiam fece scendere un lembo di stoffa blu sopra la fronte e inspirò lentamente per darsi una calmata; il profumo del prato ronzante di grilli su cui erano apparsi deliziò le sue narici, e la limpidezza dell'aria le riempì il petto. Che Nelgon andasse a farsi friggere. Non aveva tempo per restare arrabbiata con lui.

«Questo cielo mi ricorda tanto Capo Notte» mormorò, seguendo Feram verso la strada lastricata che conduceva in città. «Che ore sono?»

«Mezzogiorno, direi. La luna è ancora bassa.»

Myrhiam sollevò lo sguardo sul Palazzo di Nohot, circonfuso di un alone dorato, e contemplò l'enorme, candida falce che sorgeva dietro di esso.

«Da noi non è così grossa. La luna, intendo.»

«Pensa che a Xtyglen non si vede proprio» soggiunse Feram. «È strano ma è così. La Marca di confine ha una luna immensa, mentre altrove è pressoché invisibile. Ed è sempre e solo crescente: niente novilunio, niente plenilunio.»

«Come fanno questi Elfi a vivere al buio?» intervenne Nelgon. «Hanno qualche terra esposta al sole?»

«Pochi appezzamenti, in realtà. Discendono dagli ultimi clan che lasciarono la Terra della Radice, ossia dagli Elfi Bianchi e dagli Elfi del Mare... i loro avi sono giunti tardi a Faerie, e hanno dovuto prendere il poco che era rimasto» rispose Feram. «Ora vivono nell'anello di territorio ai confini della Dimenisione.»

«Ma come fanno a sopravvivere?»

«Molti di loro erano stanziati in regioni fredde e inospitali, prima di giungere qui» spiegò, controllando che nei paraggi non ci fosse nessuno. «Questa gente conosce l'oscurità, e ha imparato a conviverci da millenni. Ve ne parlerò nei prossimi giorni.»

«Certo che deve essere un bello smacco» continuò Nelgon. «Vivere accanto al luminosissimo regno di Xty e non poterne avere nemmeno uno spiraglio.»

«Ah, guarda che non se la passano male. Questi Elfi sono scaltri, hanno approfittato della loro posizione sin da subito. Sono riusciti a ottenere parecchi privilegi.»

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora