4. DANIEL

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Per la centesima volta mi volto verso il comodino dove troneggia una di quelle sveglie digitali che indicano la temperatura e se fuori piove o c'è il sole, indovinando però le previsioni una volta su cinque. Osservo l'ora e dall'ultima volta sono passati venti minuti e credo sia impossibile dato che pensavo ne fossero passati solamente due, ma anche il display del cellulare indica lo stesso orario della sveglia, per cui sono solo io che per l'ennesima volta mi sono perso nel tempo.

Improvvisamente, steso ancora nel mio letto, mi rendo conto che non aspetto più che arrivi mattina girandomi e rigirandomi più volte nel letto durante la notte perché lei ha iniziato ad arrivare sempre prima ormai già da un po'. E non posso permettere che questo accada. Non posso perdermi nelle mie giornate, non posso lasciare che il tempo mi scorra addosso senza che io me ne renda conto.

Ho fatto una promessa. E intendo mantenerla.

Mi alzo e faccio partire gli ingranaggi della mia vita che mi farà trascorrere un'altra giornata, mettendomi davanti agli occhi chissà quale ostacolo per cercare di fermare le mie intenzioni.

Prendo il pennarello nero e cancello dal calendario la data di oggi, lasciando che anche questo giorno si consumi tra le mie dita. Sono passati 248 giorni da quella notte.

Entro nella doccia e apro l'acqua, ed è sotto il getto freddo che mi colpisce il corpo ancora caldo della notte che mi rendo conto che quel che sembrava una soluzione piuttosto semplice dove abitavo prima, ora che sono nella nuova città sembra essere diventata una di quelle scelte con un certo peso e di un certo spessore.

Ma perché dovrei cambiare idea quando nel momento in cui ho fatto la mia scelta ero consapevole di quello a cui andavo incontro? Dovrei cambiare i miei piani solo in base a uno stupido incontro che può non significare nulla? E se anche significasse qualcosa la mia anima non è più limpida e l'unica cosa a cui è destinata è il buio eterno. Nessuno può salvarmi perché è come se fossi morto quella notte.

Sento le lacrime scivolarmi lungo il viso nonostante il getto d'acqua e vorrei smetterla di piangere, vorrei smetterla di sentire ogni cosa, vorrei smetterla di avere questa nube nera attorno a me, ma ho capito che è impossibile. Quante volte ho provato a sconfiggerla? Quante volte ho cercato di ignorarla? Quante volte ancora oggi ne attenuo il dolore per poi sentirlo tornare nuovamente, a volte anche più forte?

Mi sfrego il viso con entrambe le mani e poi esco dal box, cercando di rimettere a fuoco il mio unico obiettivo che in questi giorni si è offuscato, esattamente come lo specchio davanti a me in questo momento che ora nasconde il mio volto, ma basta passarci la mano sopra ed eliminare il vapore e tutto torna come in principio.

Quando arrivo a scuola, attraverso il prato come sempre a testa china per evitare gli sguardi di tutte quelle persone che non fanno altro che parlare e sparlare alle mie spalle, credendo di sapere il mio passato, ma senza in realtà conoscerne anche solo una vecchia pagina mal scritta.

Sono concentrato a guardare i miei piedi a cui impongo, passo dopo passo, di continuare a camminare e di non fermarsi di fronte a nessuno che ha qualcosa da ridire sul mio conto e sono troppo impegnato a non ascoltare le cazzate che vengono dette per non rischiare di trovarmi a sfogare tutta la mia rabbia su qualche deficiente da non accorgermi della persona che mi affianca.

"Così parleranno di me". Mi sento dire. Nessuna domanda che richieda una risposta. Ma solo una affermazione che conferma l'ovvio. So benissimo chi è la persona che in questo preciso istante sta camminando al mio fianco. Ed è la stessa a cui non vorrei pensare. Maledizione.

"Vorrei poterti dire che mi devi un favore, ma non ti conosco nemmeno e quindi non saprei neanche che tipo di favore potresti farmi". Mi dice.

E nonostante tutto quello che mi sono promesso, mi concedo ugualmente un piccolo sorriso a fior di labbra, di quelli impercettibili, quasi impossibili da notare.

L'AMORE CHE CI HA SALVATIWhere stories live. Discover now