16. DANIEL

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Ancora prima di aprire gli occhi mentre ero nella fase di semi coscienza ero consapevole che ero fottuto del tutto.

Avevo rischiato tutto, ma ovviamente avevo perso.

Per prima cosa non riuscivo ancora a capire l'entità del danno che mi ero procurato e seconda cosa, quella più importante, è che ora mi avrebbero rinchiuso.

Sapevo a cosa sarei andato incontro se avessi fallito. La psicologa che mi seguiva me lo avrà ripetuto un migliaio di volte per scoraggiare ogni mio gesto disperato, ma a quanto pare le sue parole non hanno minimamente scalfito le mie idee e le mie ragioni. E ora mi odio per non esserci riuscito.

Dove ho sbagliato? Cosa è andato storto?

Credevo di aver calcolato ogni minimo dettaglio, dopotutto ho valutato più volte come fare e dove tagliare esattamente per avere il risultato finale che speravo. Per mesi ho navigato nei siti di ragazzi che come me erano avvolti solo dal buio. E vedendo che non ero l'unico mi ero sentito meno solo, ed è anche grazie a questo se ho trovato la forza per compiere questo gesto. In quell'inferno fatto di anime perdute ho trovato il coraggio per concludere e portare a termine la mia scelta.

Ma adesso? Ho sprecato la mia occasione e ora ne dovrò pagare le conseguenze.

Ancora prima di aprire gli occhi sento le lacrime di mia madre e gli occhi di mio padre puntati addosso, come se guardandomi intensamente potessero cancellare quello che ho fatto.

Avevo pensato a me, a quello che provavo io e al mio dolore, ma se me ne fossi andato anche per loro sarebbe stato più facile. Non avrebbero più dovuto avere sotto gli occhi tutti i giorni il figlio che ha strappato la vita all'altro loro figlio. Sarei dovuto morire io nell'incidente e non Alvise. Era lui tra noi due che aveva più possibilità di una vita perfetta. Ogni giorno da quando è successo mi sono chiesto per quale motivo ha dovuto andarsene lui per colpa delle mie scelte, per colpa della mia vita, ma mai sono riuscito a darmi una risposta.

Ora, trovarmi ancora sotto i loro occhi, forse accusatori, forse dispiaciuti, forse menefreghisti, mi rende nervoso.

Forse sono arrabbiati per quello che ho fatto o forse speravano che riuscissi nel mio intento, ma quello di cui mi importa in questo istante è solamente il motivo per il quale io sia ancora qua.

Perché non posso morire? A cosa servo qui? Perché insistere nel darmi una vita che non voglio?

Quando decido di aprire gli occhi non li guardo, ma fisso il mio sguardo vuoto e vacuo dritto davanti a me, insensibile e schivo nei loro confronti pronto a parare i loro colpi, ma non appena mia madre si accorge che sono sveglio la sento alzarsi dalla sedia dove era seduta per poi circondarmi le spalle in uno dei suoi soliti abbracci come se fosse felice di vedermi vivo, ancora.

Provo a schivarla, ma solo quando tento di muovermi mi rendo conto che i miei polsi sono stati immobilizzati da due cinghie allacciate ai lati del letto rendendo impossibile i miei movimenti.

E anche se resto sorpreso da questo in realtà non dovrei per niente meravigliarmene.

Sembra tutto così uguale a un anno fa, una camera singola, un letto, due sedie, aghi infilati lungo il mio braccio e fili che corrono verso un monitor per registrare ogni mio singolo respiro, ogni mio singolo battito.

Persino le emozioni che aleggiano in questa stanza e ci avvolgono nel loro abbraccio sembrano uguali. Anche quella volta desideravo essere morto piuttosto che diventare un sopravvissuto e anche allora, come sembra anche oggi, i miei genitori erano felici quando i miei occhi si aprirono.

Ma c'è una cosa che rende diverso questo momento da quello precedente. Oggi, a differenza di un anno fa, anche i miei genitori sembrano essersi accorti che nell'aria sta suonando una melodia dolce, ma che a un certo punto stona. Ed è proprio la nota sbagliata quella che parla di me.

L'AMORE CHE CI HA SALVATIWhere stories live. Discover now