Giulietta

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Vi ho mai raccontato la storia delle mie tre mogli? Eh già perché un uomo, ad un certo punto della vita, quando arriva ad una certa età, si ferma infila una mano nella tasca della giacca e afferra il suo pacchetto di Camel. Rigorosamente Light perché il cardiologo ti ha intimato di smettere ma, se uno ha fumato tutta la vita, quelle parole, sono solo nuvole, appunto, di fumo.
Estratto il pacchetto lo si avvicina alle labbra e, dopo aver dato due colpetti sul fondo in modo affinché una siga si disallineasse dalla perfezione della confezione, con la bocca la si estrae con ghigno ed aria di vittoria. Avete presente, poi, quell'odore e quel sapore che ha la cicca la prima volta che l'appoggiate sulle labbra? La sensazione è la stessa di quando porti la bocca a... Vabbè meglio non specificare dove tanto avete capito perfettamente.
Intanto, con l'altra mano, si cava lo zip dall'altra tasca. Movimento veloce a scatto e pollice che scivola sulla rotellina per avere le scintille del vizio e la fiamma che accende il piacere.
Prima boccata.
Inspira profondamente e, poi, una nuvola di fumo sputata fuori come a volersi liberare di un grosso peso che ti opprime il petto.
Prendi la sigaretta e ti volti. E cosa vedi? La tua prima ex moglie.
Troppo stupido. Si ero troppo stupido. Non che ora sia un novello Einstein sia chiaro, ma ora sono molto meglio.
Durò poco. Sette anni. Compreso il primo di fidanzamento. Poi conobbi Elena e Silvia e scoprii il segreto delle gemelle. Volevano scoparmi entrambe e io non sapevo mai con quale delle due fossi. Fino a quando, dopo tre mesi, mi accorsi che una delle due aveva una propensione più al sesso orale che al resto. Lì capii la differenza tra Elena e Silvia e, ovviamente, sposai quella. Quale delle due? Al comune segnarono Elena ma non sono così sicuro che fosse lei. Infatti, dopo un anno, capii che Elena era quella innamorata di me mentre Silvia, invece, era innamorata del mio cazzo. Il dilemma del nome fu così risolto. Poi conobbi Francesca. Colei che divenne la mia prediletta.
La soprannominai "Ex ortodossa". Perché? Presto detto. La conobbi sulle scale della chiesa di San Pietro in Vincoli, a Roma. Letteralmente fu come un'apparizione. Un miracolo. Proprio lì in quel punto sacro.  Feci di tutto per conoscerla. Addirittura frequentai quella chiesa tutte le domeniche mattina dove lei era solita andare a messa. Ore dieci del mattino in punto.
Io ero completamente fatto di lei. Più dell'incenso che spargevano ogni domenica alla funzione religiosa. Cosa, questa, che mi faceva essere sbeffeggiato dagli amici con cui mi vedevo per la partita della Roma. Per loro, ormai, ero uno dei Re Magi e non portavo né oro né mirra ma puzzavo di incenso e, a fine partita, anche di birra.
Una mattina accadde l'inevitabile. La crema di uno dei bignè di San Giuseppe presi nel bar di fronte la chiesa mi colò perfettamente sulla giacca chiara di velluto e mi lasciò una bella chiazza. Imprecai, scusandomi immediatamente l'attimo successivo vedendo il frate accanto a me.
Mai chiazza fu così benedetta, invece. All'ingresso della chiesa la cercai con gli occhi al solito posto. Terza panca a sinistra del pulpito. Ed era lì. Capelli mori mossi con la sua pelle candida che faceva da contrasto. Una bellezza algida che mi scaldava il cuore e non solo quello...
Mi avvicinai e, come abitudine delle ultime tre volte, mi accomodai alla sua sinistra nella stessa panca che, appena mi sedetti, scricchiolò. Lei si voltò verso di me e sorrise. Si avvicinò al mio orecchio e sussurrò «Romeo?» «Si Giulietta?» Le risposi. Lei cominciò a ridere in maniera forte. Ma così forte che le uscirono le lacrime agli occhi e fuggì via.
Ebete. Si si lo so che lo starete dicendo anche voi che sono stato ebete ma vi avevo detto che non sono Einstein.
La seguii e, fuori dalla chiesa, mi feci un segno della croce immaginario. Ora o mai più pensai e mi buttai.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?»
Lei stava ancora lacrimando con le braccia ad anfora e le mani sui suoi fianchi.
«Perdindirindina. Mi hai fatto morire dal ridere. Giulietta? Ma come Giulietta?» mi domandò mentre provava ad asciugarsi le lacrime con un kleenex stando attenda a non rovinare il poco trucco che decorava il suo volto.
«Tu mi hai detto Romeo e io ho risposto Si Giulietta»
Lei ricominciò a ridere piegandosi in due e, in quella posizione, alzò il braccio destro e puntò l'indice verso il bar. Rise: «Romeo è il bar dove ti sarai presumibilmente macchiato la giacca»
Porca miseria che figura che feci ma la invitai a prendere un caffè e un bicchiere d'acqua per reintegrare tutti i liquidi che le avevo fatto perdere con le lacrime. Acconsentì ma solo dopo la funzione. Rientrammo ridendo. Lei era uno spettacolo della natura e scoprii anche che a letto era una furia della natura. Ecco perché il soprannome Ex Ortodossa. L'ho amata tanto. Alla follia. Fino a quando intraprese il lungo Viale dei Giganti da sola senza di me. Getto la siga ormai arrivata al filtro. Butto fuori l'ultima nuvola di vapore e mi incammino. Per dove? Forse Verona. Lì, probabilmente, dovrei incontrare la mia Giulietta.

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