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Amelya stava passeggiando sul vialetto di casa di ritorno da scuola. Era un bel pomeriggio soleggiato, maggio stava riscaldando la temperatura e le giornate diventavano lentamente più lunghe. Quando arrivò sull'uscio della porta di casa sua, suonò il campanello.

Nessuna risposta.

Tentò nuovamente, questa volta lasciando l'indice sul pulsante più a lungo. Forse sua madre aveva la TV accesa e non l'aveva sentita. Ma anche in quel caso, nessuno rispose. Che fosse andata a fare la spesa?

Amelya sospirò, fece spallucce e rovistò nella tasca della sua giacca per cercare le chiavi. Aprì la porta ed entrò. La casa era nel silenzio più totale. I passi della ragazza sul parquet erano l'unico suono udibile. Non sentiva nemmeno l'abbaiare di Aragon, che di solito si accorgeva della sua presenza prima ancora che salisse i gradini del portico. Forse sua madre aveva portato con sé il cane?

«Mamma?» chiamò, «Aragon?»

In quel momento udì un flebile lamento provenire dal soggiorno, pensò subito potesse essere Aragon. Sembravano decisamente i versi di un animale.

«Aragon, bello, dove sei?» chiamò nuovamente dirigendosi verso il soggiorno. La prima cosa che vide fu il suo cane accovacciato sotto una sedia della sala, tremante, mentre mugolava piangendo. Stava per chiedergli cosa lo avesse spaventato così tanto, quando con la coda dell'occhio vide qualcosa muoversi dietro di lei.

Si voltò e quello che trovò le rimase impresso come fuoco nella retina dei suoi profondi occhi azzurri, che si ingrandirono vacui, fissandosi sulla figura che penzolava dal soffitto. Un cappio stretto intorno al collo sottile e pallido, l'altra estremità agganciata al lampadario del soggiorno. I capelli castani scendevano come cascate coprendo il volto della figura, ma Amelya non aveva bisogno di vederne il viso, perché quella era sua madre.

Sbatté le palpebre un paio di volte, come se volesse assicurarsi di essere sveglia, di star vedendo bene. Poi, come un getto di acqua gelida sul viso, la realizzazione la colpì.

«M...mamma?» balbettò. Le mani le si intorpidirono. Le ginocchia iniziarono a tremarle. Iniziò ad ansimare. Si voltò guardandosi intorno come se lì potesse trovare l'aiuto di qualcuno e notò solo in quel momento che il soggiorno era a soqquadro. Il divano blu era squarciato, il tavolino di vetro al centro della sala distrutto, la cristalliera all'angolo in frantumi. Il mobile in legno vicino all'entrata era segnato da profondi solchi di artigli, come se un leone gli si fosse scagliato contro senza pietà. I respiri si fecero più veloci. Amelya iniziò a tremare. Mille emozioni si gettarono funeste su di lei. Speranza: forse era ancora viva? Forse qualcuno poteva aiutarla? Rabbia: Chi era stato? Paura: Sarebbe tornato? Dolore: Era morta? Anche lei l'aveva abbandonata?

Gli occhi di Amelya continuavano a saettare da una parte all'altra della stanza nel panico più totale. Il cuore si stava mangiando i battiti. I polmoni si gonfiavano cercando un ossigeno che sembrava non arrivare mai. Sentiva il petto pesante. La gabbia toracica le si aggrovigliò attorno animata da vita propria, come se avesse deciso di stritolarla a morte. Iniziò a girarle la testa. Le venne da vomitare. Doveva andarsene da lì. Doveva andare via, doveva scappare.

Fece un primo passo tremante, come per assicurarsi di essere ancora in grado di camminare, poi presa da un'energia che non sapeva di avere, si gettò in una folle corsa. In pochi secondi era fuori casa, poi nel giardino sul retro, poi sul piccolo boschetto dietro casa sua. Si sentiva esplodere. Aveva la sensazione che le sue costole si stessero lentamente spezzando dalla pressione del suo stesso respiro. Voleva continuare a correre, ma non ci riuscì.

Cadde sull'erba e fu appena in grado di attutire l'impatto con le mani che il suo stomaco le si strinse e vomitò sul selciato verde. Poi vomitò ancora, e ancora. Finché non le rimase più niente. Sembrava che il suo corpo volesse farle espellere il dolore in tutti i modi. Le lacrime le rigavano il viso pallido, la gola le faceva male punita dalla bile amara. Quando smise di vomitare affondò i palmi nell'erba. Le unghie scavarono nel terreno secco. Iniziò a singhiozzare e lentamente scoppiò in un pianto viscerale. Sua madre era morta. Amelya colpì il terreno sotto di lei con violenza. L'immagine del suo cadavere che penzolava dal soffitto continuava a ripetersi nella sua mente come un video senza fine. Singhiozzò più forte. Colpì di nuovo il terreno fino a scalfirsi la pelle delle mani. Non era abbastanza. Tutto quello che riusciva a sentire era il suo dolore, e quello le dilaniava il petto. Era caotico e soffocante. Era crudo e reale. Tutto era troppo reale.

From Darkness To AshesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora