Ch. 4: Precipitare

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L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.
( Giovanni Falcone)

Sento un rumore, poi un altro ancora. Lentamente mi costringo ad aprire gli occhi.
Quanto sarà passato da quando sono crollato per la stanchezza? Avrò dormito un'ora, forse meno.

La scorsa notte, la polizia si è presentata a casa nostra ed io ho perso la testa.
L'attesa mi ha lentamente prosciugato e sfinito.
Ricordo che l'ultima volta che ho controllato se la pattuglia stesse tornando, il sole era già sorto.

Del discorso tra l'agente e mio fratello non sono riuscito a sentire nulla: ero troppo terrorizzato da quello che mi sarebbe successo, per aver il coraggio di uscire dalla mia stanza ed origliare.

Dopo pochi minuti, se ne sono andati insieme. Ho visto Liam salire sulla sua auto e seguire la volante.
Li ho rincorsi con lo sguardo, protetto dalla tenda, con la salivazione azzerata e il fiato corto, fino a quando la visuale me l'ha concesso.

L'ansia, la tachicardia e la paura provate in queste ore interminabili mi hanno logorato la testa ed il corpo.
Ho passato l'intera nottata seduto per terra: con la schiena appoggiata al letto e la testa sulle ginocchia, come quando ero bambino.
Mi sono domandato allo sfinimento quale fosse il motivo per cui l'agente fosse venuto qui.

Il primo istinto è stato quello di scappare, ma ero troppo atterrito e spaventato per riuscire a staccare un piede da terra.
Sentire nuovamente quel suono assordante nei timpani ha risvegliato ogni ricordo di quella maledetta notte.

Appena mi sono reso conto che non si trattava di uno dei soliti incubi e che le sirene e la volante erano reali, ho percepito il sangue gelarsi nelle vene ed il terrore ha iniziato a farsi strada dentro di me. Il nodo che ti comprime la trachea, la saliva che ti soffoca; il bisogno di piangere che resta bloccato lì, fino a farti male, e che ti lascia inerte, incapace persino di pensare.

Conoscevo bene quella sensazione, l'avevo provata tante volte in passato. Molte le sere passate chiuso in camera, rifugiato sotto le coperte, sperando che non riaccadesse più, pregando che passasse velocemente, desiderando che quella donna non fosse mia madre. E più tardi, con Allen, la provai di nuovo, ma amplificata: perché quando rischi davvero la vita, tua madre inizia a fare meno paura.
Sono talmente una merda che non mi sono nemmeno preoccupato del fatto che Liam potesse essere nei guai; ho dato per scontato fossero qui per me.

Sarei dovuto scendere di sotto ed affrontare la cosa; almeno ora non sarei in questo stato, non mi sentirei come se stessi precipitando in un baratro senza via d'uscita.
Resto così, sdraiato sul letto, con gli occhi chiusi e le dita che formicolano.

Probabilmente sono ancora in uno stato di dormiveglia in cui i miei sensi rimangono in attesa dello scattare della serratura.
Una forza improvvisa mi strattona, trascinandomi a sé. L'appoggio viene meno. Avverto il vuoto.

Il cuore perde un battito... precipito!
Sto letteralmente cadendo, e non intendo metaforicamente!
Atterro di culo sul parquet e un dolore sordo si propaga dal mio fondo schiena a tutto il resto del corpo.

- Ma che cazzo ti è saltato in mente??? Fanculo Lex, mi sono fatto male! -
Mi ritrovo ad urlare, agitando braccia e gambe per liberarmi dalla costrizione del lenzuolo che mi avvolge.
Alexis è in piedi, a pochi centimetri da me. Mi ha tirato giù dal letto e ora mi sta scrutando attentamente in volto, con le sopracciglia aggrottate.

- Che diamine ti è successo?! Sembri uscito da una lavatrice. Sei pallido come un cadavere e hai ancora addosso i vestiti. - mi domanda, con un tono acido che, via via, pare assumere una nota di preoccupazione.

REFLEXED [Concluso In Revisione] Where stories live. Discover now