- CAPITOLO 43 -

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Nick si svegliò di soprassalto quando qualcuno andò a bussare contro la porta della sua cella. Metallo contro metallo.

Non si ricordava di essersi addormentato. Le sue percezioni gli sembravano alterate, o perlomeno confuse, in quella stanza bianca, vuota e senza finestre che, sin dal primo momento, gli aveva fatto pensare al concetto di deprivazione sensoriale.

«Concorrenti, dovete essere pronti tra dieci minuti» ripeteva ininterrottamente una calmissima voce femminile registrata. Nick sollevò lo sguardo verso l'origine di quel suono e notò un piccolo altoparlante fissato in un angolo insieme ad una... era una telecamera quella? Sì, decisamente lo era. Nick si maledisse mentalmente per il crollo emotivo di qualche ora prima, non sopportava l'idea che qualcuno (con ogni probabilità proprio il Giocatore) aveva potuto assistere allo sfogo della sua rabbia e delle sue lacrime. Si passò una mano tra i capelli spettinati e si rese conto di indossare ancora l'accappatoio nero che le Guardie Bianche gli avevano fornito dopo averli costretti ad una doccia veloce dopo la strage in piscina.

Nick notò una piccola porticina all'interno della cella, la aprì e scoprì che si trattava di uno striminzito bagno.

«Proprio tutti i comfort» ironizzò a mezza voce accorgendosi dell'assenza dello specchio sopra il lavandino.

Pochi minuti dopo era fuori dalla porta della sua cella, insieme a tutti gli altri compagni di sventura. Cercò con lo sguardo Derek e lo trovò a poche celle di distanza. Aveva il suo solito atteggiamento fiero e sicuro. Nick si augurò con tutto il cuore di apparire allo stesso modo anche se dentro si sentiva a pezzi, sconfitto, senza speranze. L'immagine di Connor, invece, contrastava palesemente con quella di Derek: il ragazzo aveva lo sguardo spaventato e le spalle curve. Nick avrebbe voluto dirgli che tutto sarebbe andato bene, che se la sarebbero cavata. Ma non poteva mentire così spudoratamente. Solo uno di loro sarebbe uscito vivo di lì. Nulla sarebbe andato bene.

«Concorrenti» disse la voce odiosa del Giocatore quando i trenta superstiti erano arrivati in un'ennesima stanza completamente bianca. «Benvenuti alla seconda prova!»

Le Guardie Bianche applaudirono con rigido entusiasmo e Nick approfittò di quegli istanti per osservare con attenzione lo spazio che lo circondava. Conoscere il campo di battaglia era sempre un'ottima arma da inserire nel proprio arsenale. La stanza era bianca e piuttosto piccola, ma non del tutto vuota: il suo sguardo notò che lungo le pareti erano schierate sei porte bianche (oltre a quella dalla quale erano entrati) che, sebbene prive di maniglie, non riuscivano a camuffarsi completamente con lo sfondo.

«Per prima cosa» continuò la voce tronfia del Giocatore, «ci tengo a complimentarmi con voi per aver superato la prima prova».

«Avete ucciso dieci persone!» gridò un uomo sulla trentina che di recente si era trasferito al Covo perché credeva fermamente negli stessi ideali di libertà per i quali Nick e gli altri avevano lottato da sempre. Il suo volto era deformato dalla rabbia. Una Guardia Bianca si affrettò a puntargli contro il fucile.

«Signori, vi prego, non è così che si gioca!» disse il Giocatore. Il suo tono era scocciato. Le interruzioni lo innervosivano.

«Questo non è un gioco!» recriminò qualcun altro con voce rotta.

«Ma certo che lo è» rispose il Giocatore con la risata nella voce profonda. «È il gioco per la vita! La vostra, e quella della nostra amata città!»

Nick avrebbe voluto urlare, imprecare, maledire quel bastardo, ma rimase immobile costringendosi a calmare il respiro. Guardandosi intorno notò che anche gli altri concorrenti stavano lottando contro se stessi per non buttarsi a capofitto contro le Guardie pronte a sparare. È vero, sarebbe stato del tutto inutile, ma in fondo non c'era molto da perdere. Sarebbero morti tutti comunque. Tutti tranne uno. Ecco su cosa puntava tutto quel sadico gioco: sull'inevitabile e naturale lotta per la sopravvivenza degli esseri umani. Chiunque tra le persone presenti in quella stanza odiava quella situazione, ma nessuno avrebbe mandato tutto all'aria perché, più o meno celatamente, tutti sognavano di vincere per tornare alle loro vite, ai loro affetti... Nella mente di Nick andò a formarsi la dolce e delicata immagine di Sophy ma lui si costrinse a ricacciarla indietro, come aveva sempre cercato di fare da quando era stato rapito dalle Guardie Bianche. Solo quando era stato lasciato da solo nella cella aveva lasciato che pensieri, ricordi, desideri e paure prendessero il sopravvento. In quei momenti non si era nemmeno più sentito la stessa persona. Si era perso nella disperazione, nella rabbia, nella mancanza. Aveva pianto contro la parete immaginando che ci fossero le carezze di Sophy a provare a consolarlo, ma questo aveva solo reso più angosciante la sua solitudine. Ecco perché non doveva farsi distrarre dal dolce ricordo di lei. Perché non poteva più permettersi di mostrarsi debole davanti ai suoi avversari, davanti al Giocatore, davanti a lei... Doveva cercare restare lucido e razionale se voleva avere una possibilità di vincere. Di riabbracciarla.

MITOCITY 2 - Il GiocatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora