- EPILOGO -

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- EPILOGO -


Quando il belloccio concluse il suo discorso tra gli applausi scroscianti della folla, Ivan tolse il volume al vecchio televisore e lanciò il telecomando sul divano consunto. Torneo o no, Nick Donovan non meritava il ruolo di presidente di MitoCity. L'ultimo a ricoprire ufficialmente quel ruolo era stato suo padre, Carlos Alvarez, e ora Ivan non poteva sopportare di vedere quel bamboccio con gli occhi azzurri ricoprire la più alta carica dello Stato.

Ivan prese un cuscino e se lo portò al viso per reprimere un grido di rabbia e dolore. Dalla morte di suo padre tutto era andato a rotoli, dramma dopo dramma. Scaraventò il cuscino sul divano, poi vi si accasciò sopra e, forse cercando di trovare un senso a tutto ciò che gli era successo, ripensò agli accadimenti quei mesi.

Ivan si svegliò di soprassalto. Qualcosa aveva sbattuto contro la finestra della stanza d'ospedale in cui sua madre era ricoverata. Il ragazzo scosse la testa e si stropicciò gli occhi: non si era reso conto di essersi addormentato. Era un periodo davvero duro per lui: suo padre era stato ucciso e sua madre era ricoverata da settimane. Era cosciente, ma in gravi condizioni.

Penelope, fiaccata nel corpo e nell'anima, non si era mai davvero ripresa dalla morte improvvisa del marito. Ivan aveva raccontato a tutti che sua madre aveva avuto un malore dopo l'omicidio di Carlos e che si stava pian piano riprendendo, ma la verità era che non stava affatto guarendo, anzi, dopo il malore le era stato diagnosticato un male incurabile e le sue condizioni non avevano fatto che peggiorare. I medici non sembravano molto speranzosi e, in tutta onestà, nemmeno lui lo era. Eppure le rimaneva accanto, giorno dopo giorno, barcamenandosi a fatica tra i problemi che la scoperta dell'alleanza di suo padre con Catting avevano generato. Sua madre non lo sapeva, ma la loro bella casa era stata messa sotto sequestro e Ivan dormiva in ospedale anche perché non aveva un altro posto in cui andare.

Un altro colpo alla finestra.

Ivan lanciò uno sguardo triste all'esile figura di sua madre, stesa pallidissima sulle lenzuola candide e circondata da tubicini e macchinari, poi si affacciò alla piccola finestra. La strada era deserta fatta eccezione per una moto nera cavalcata da uomo che stava facendo saltare tra le dita dei ciottoli.

«Ehi tu! Mia madre sta riposando!» gli si scagliò contro Ivan dopo essere uscito frettolosamente dall'ospedale. «Smettila con quelle pietre! Si può sapere che problemi hai?»

«Non era mia intenzione disturbare» rispose l'uomo da dietro il casco scuro. «Volevo solo attirare la tua attenzione per poter parlare con te».

«Chi sei?» chiese Ivan, sospettoso. Riusciva a vedere solamente gli occhi di quell'uomo misterioso. Erano verdi e brillanti d'intelligenza.

«Sono il Giocatore» rispose lui, laconico.

«Ma dai! Piantala, non ho nessuna voglia di scherzare!» si innervosì Ivan, deciso a tornarsene da sua madre. «Quelle di Sophy sono solo idiozie».

«Non ho modo di dimostrarti che non sto mentendo» disse il presunto Giocatore. «Ma posso farti una proposta».

«Quale?» chiese Ivan, più per curiosità che per reale interesse.

«Ti propongo un accordo» spiegò l'uomo in moto. «Tua madre è molto malata, ma io posso curarla».

MITOCITY 2 - Il GiocatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora