Blue Lake City

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Mi sono ritrovato più volte a pensare a cosa scriverti Amiee, a come iniziare la storia della mia vita, da che punto esattamente farla partire. Ho pensato di cominciare a parlarti di quando nacqui alla fine degli anni trenta, in una Corea che veniva sfiorata dagli avvenimenti che succedevano in Europa, a mille e mille kilometri lontani da noi, Nazione la mia piena di problemi, con il Giappone che voleva farci diventare una sua colonia e con la Russia e la Cina che spingevano il Nord per farci diventare una piccola penisola felice comunista, mentre io crescevo dentro una campana di vetro creata i miei genitori nella mia città natale, Busan, che si affacciava sul mare con le spiagge bianche e l'aria sempre frizzante.

Oppure potrei iniziare a descriverti come mi sentì quando mio padre, Yonghwa, ci disse una sera di fine primavera che aveva intenzione di migrare negli Stati Uniti, spinto dalle continue lettere del suo più grande amico, Park Jehoon, trasferito e già ambientato da diversi anni in California nella comunità che comprendeva con poco più di trecento nostri connazionali.

Forse potrei parlarti di come lasciammo la Corea, preso una nave enorme che non avevo mai visto in vita mia e come ci fossimo diretti verso quella meta sconosciuta, mentre la mia terra si preparava nell'ombra alla guerra che sarebbe durata tre anni, Nord contro Sud, Russia contro Usa, fratelli contro fratelli, ma della quale, grazie al continuo bendarmi davanti la realtà che mi circondava, non mi accorsi mai di niente.

Quindi, cara Amiee, ho deciso di iniziare la mia storia e quella dei miei amici, dall'estate dei miei diciassette anni, in quel momento particolare in cui abbandonai i panni del ragazzino e cominciai a vestire quelli da uomo, il momento fondamentale in cui con tutte le forze che avevo, distrussi pezzo dopo pezzo la gabbia dorata fatta di pregiudizi e silenziose verità che non conoscevo, il periodo nel quale conobbi il significato di Amicizia, Dolore, Sofferenza, Ipocrisia e Amore, tanto amore, amore che ti elevava e che ti schiantava al suolo, che ti faceva sanguinare il cuore e che ti curava con le lacrime, dolce e tenero, segreto e leggero, come la brezza estiva, come le stelle del firmamento, come le lucciole che illuminano le sere calde.

Giugno

[Colonna Sonora: Track 1, Champagne Coast, Blood Orange]

Il finestrino del camioncino Ford era abbassato per metà e l'aria tiepida entrava sferzando sulla mia capigliatura nera scompigliandola, facendomi godere di quel vento che arrivava a colpirmi il volto facendomi comparire piccoli brividi sulla pelle.

Stavamo viaggiando da tre giorni e il tempo era scandito dai sospiri di mio padre esalati a ogni minuto. Mio padre odiava guidare da sempre e aveva anche provato a lanciarmi le chiavi del furgoncino carico dei nostri pochi averi, cosi da chiedermi implicitamente di condurre io il mezzo, ma mia madre si era messa in mezzo e aveva lanciato una brutta occhiata in sua direzione e lui, da bravo marito, aveva abbassato la testa davanti gli occhi scarlatti e furiosi della mamma e aveva ripreso le chiavi correndo al lato del conducente per salirci, mentre lei mi dedicò un sorriso dolce.

Era passati tre anni da quando ci trasferimmo in America, nella comunità di Koreatown, qualche casa raggruppata in un a zona abbastanza periferica di Los Angeles.

Io non ebbi molte difficoltà nell'ambientarmi, perché abitavano diversi ragazzi della mia età e insieme andavamo a scuola e la sera ai vari corsi per imparare l'inglese e li, dopo qualche mese dall'inizio di quella nuova avventura, conobbi Mynhyunk, la ragazza più bella che avessi mai visto, la prima che mi fece battere il cuore nel petto e mi faceva sentire euforico come i protagonisti dei libri che leggevo di nascosto ai miei genitori.

Mynhyunk aveva un anno meno di me, lunghi capelli neri che teneva chiusi in trecce strette e una frangia liscia, perfetta, che ricadeva sopra gli occhi eleganti e scuri, incorniciando il naso piccolo e le labbra morbide.

L'estate dei miei diciassette anniWhere stories live. Discover now