6- Saltavo, urlavo, ma sembrava che nessuno mi sentisse.

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Da quel momento in poi era come se ogni giorno una lama diversa si infilzasse nel mio petto, e ogni giorno quelle lame si accumulavano sempre di più fino a provocarmi un dolore atroce ad ogni mio respiro. La solitudine mi tramortiva; le giornate di primavera erano sempre più soleggiate ed intense, il vento fresco avrebbe dovuto asciugare le mie lacrime. Ma quei mesi primaverili furono i più scuri che io abbia mai vissuto.
Ogni volta che mettevo piede a scuola mi sentivo sempre più solo: per Isabelle ero ormai un fantasma a tutti gli effetti; Eric provava ad andare avanti, ma lui era sempre molto impegnato, penso che gli risultasse più facile, ma questo non posso saperlo effettivamente. Mi erano rimasti Jason e Lucy, ma sentivo un certo grado di lontananza anche con loro.
Richiesi l'uscita dal club di scacchi, non ne avevo più voglia, non partecipai alle olimpiadi di matematica annuali; andavo solamente in palestra, per vedere Eric almeno da lontano, anche se molto sporadicamente, una volta ogni dieci giorni potrei dire; non ero incline a far nulla a dir la verità: mi piazzavo ogni giorno davanti alla tv a fare binge watching di serie, con gelato alla vaniglia a destra e un bicchi...una bottiglia di champagne alla sinistra. A volte mi sedevo sul letto a guardare il sole incandescente fuori dalla finestra anche solo per ritrovare un po' di serenità, fallendo miseramente.
Andai a lavorare per un po' in ufficio con mio padre, sotto suo invito, dopo la scuola: aiutava a distrarmi. In realtà voleva solo che incontrassi Eric, dato che in quel periodo stava andando anche lui, per riparare le cose, perché le cose si sarebbero dovute riparare: non potevano esserci screzi con la famiglia di Eric; comunque, ci restavo molto poco, avevo solo voglia di tornare a casa e ingozzarmi di gelato.
Quando non avevo più voglia di guardare serie, un po' perché mi veniva spesso mal di testa, un po' perché non volevo far preoccupare troppo i miei genitori, uscivo, o meglio dicevo di uscire con Jason e Lucy, ma in realtà facevo lunghe passeggiate da solo senza una destinazione ben precisa, insieme solo alle mie airpods e la mia playlist di canzoni preferite. Mentre camminavo, guardavo come la vita davanti a me scorresse in maniera così naturale, veloce, incasinata; la vita di tutti è incasinata, ed è fantastica proprio per questo, la vita ha mille sfaccettature, tutte che ti stupiscono, ti affascinano. Ma per me niente era fantastico, niente era bellissimo, affascinante; tutto era ridotto ad un baratro vuoto, ad un grande ed immenso buco nero.
La solitudine non era l'unica variabile che mi ricopriva; il senso di colpa contribuiva in maniera uguale. Senso di colpa? Sì, perché in quel periodo tendevo a giustificare lo schiaffo ricevuto: Eric l'aveva fatto per me, dato che avevo compromesso tutta la situazione; non feci altro che confermare le voci di corridoio, ma io ero sopraffatto, quelle parole uscirono dalla mia bocca incontrollate dal mio apparato cerebrale. Volevo solo chiarire con Isabelle, ma era solamente un arrampicarmi sugli specchi che non faceva altro che peggiorare la situazione e la reputazione mia, di Eric e di Gonzalo Martín. Ma io fui colpito ancora più pesantemente: avevo tradito la fiducia della mia migliore amica, e questo mi tormentava.
Gli incubi mi divoravano, ogni giorno erano sempre più cupi: un sogno ricorrente era quello di trovarmi in una stanza grigia, senza finestre, con solo una lampadina che emetteva una luce fiacca appesa al muro; mi arrampicavo, saltavo, urlavo, ma sembrava che nessuno mi sentisse. Il sogno finiva sempre allo stesso modo: una figura di me stesso, semi nudo e con i capelli rasati, senza più quei ricci che mi contraddistinguevano, accovacciato in un angolo della stanza, e la lampadina che man mano si spegneva sempre di più, lasciandomi da solo nel buio più totale.
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Quell'anno scolastico contro ogni pronostico riuscii anche a superarlo; un po' perché ero sempre stato uno tra i più bravi, un po' perché magari i professori erano più carini con me dato la situazione reputazionale che stavo sopportando e forse un po' perché i miei genitori andarono a spiegare la situazione a scuola. Ma queste cose mi ammazzavano sempre di più: come potevo aver avuto un così tale declino? Era veramente Eric la motivazione per cui ero così forte e sicuro di me?
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Stava arrivando l'estate: un'estate che molto probabilmente avrei passato da solo se le cose non fossero andate diversamente.
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Stringevo nella mano sinistra il mio regalo di compleanno da parte di Isabelle, e con l'altra mano provavo a scriverle un messaggio.
'Belle, non riesco più a sopportare questa situazione. Ho bisogno di te nella mia vita. Quando ti vidi per la prima volta non avrei mai pensato che un giorno saremmo potuti diventare ciò che siamo stati. Ho sbagliato; ciò che è successo quella sera non era dettato da me, ma non prenderla come giustificazione: sono colpevole tanto quanto loro. Ho qui il nostro biglietto per la Florida, andiamoci, perfavore.'
Contai fino a dieci prima di premere invio, lo lessi, lo rilessi, lo corressi. Poof, invio.
La sua risposta non fu immediata, aspettai due giorni, che passai interamente a casa da solo, con mia madre. Mio padre invece iniziò ad innervosirsi: non poteva accettare la fine di quella relazione quasi quanto me; ma ciò che lo infastidiva di più era la mia 'debolezza' nel non riuscire a prendere di petto determinate situazioni. Ma come potevo? Nel giro di cosi poco tempo avevo perso tutto; addirittura pensò di assumere uno psicologo, ma gli feci subito scartare l'idea.
Isabelle rispose letteralmente due giorni dopo con una frase composta da sole due parole, ma che mi fecero piangere dalla gioia: 'partiamo dopodomani'
Non potevo credere ai miei occhi; mi catapultai a fare shopping di indumenti da mare con mia madre, comprai qualsiasi cosa mi si proponesse, anche se alla fine ci sarei dovuto rimanere due giorni.
Volevo riprendere in mano la mia vita: chiarire e recuperare il rapporto con Isabelle; andare davanti casa di Eric e urlargli a gran voce tutti i miei sentimenti; avevo bisogno di far ripartire la mia vita, ma non avrei mai potuto farlo senza lui accanto. Quegli incubi dovevano finire.
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Isabelle era già lì che mi aspettava, bellissima e raggiante come sempre: mi commossi all'idea che saremmo partiti e finalmente avremmo potuto chiarire. La salutai; dal canto suo c'era un po' di indifferenza, ma la capivo: le avevo fatto del male.
Il viaggio non durò molto, ma intrinsecamente sembrava durare per sempre:
'Isabelle, mi dispiace tanto per quello che è successo: sembra banale, non volevo che le cose si mettessero si evolvessero in questo modo.' Affermai, con il cuore che mi batteva forte, come se volesse uscire dal petto. Lei versò un po' di champagne, sia per me che per lei.
'Ho incolpato te; e per quanto anche tu avessi le tue colpe, non ho capito che il problema era lui, Gonzalo. Avrei dovuto incolpare lui in primis, ma invece ho lasciato correre: gliel'avevo perdonato. Ma in questi mesi ho capito che il suo è un vizio; tu ed Eric non siete stati gli unici. Ma Blake, cerca di capire bene se lui è il ragazzo giusto per te, per te desidero il meglio, e anche se il mio parere su di Eric non è positivo, ti lascerò libero di prendere la tua decisione. Ed ora brindiamo alla nostra amicizia ritrovata. Sei il mio migliore amico e non penso che tu sia una persona che io possa mai sostituire un giorno.'
Brindammo alla nostra amicizia, sperando che questa non potesse mai finire.

'Addiction'Where stories live. Discover now