Capitolo 28

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Quello era decisamente l'inverno più freddo che Frank avesse mai visto a Santa Monica, da quando era arrivato in California. Le temperature scendevano e si alzava il vento, gli era passata tutta la voglia di andare al lavoro la mattina.

La casa, per fortuna, era ben riscaldata. I termosifoni erano accesi in tutte le stanze, la camera più calda era indubbiamente la cucina dove erano sempre accesi i fornelli.

Quella mattina, disgraziatamente per lui, quando si era alzato, aveva sentito nell'aria della sua stanza un terribile odore. Aveva capito che era arrivato il fatidico momento di far arieggiare la stanza, cosa che non gli piaceva per niente.

Temeva che per il freddo Adele potesse svegliarsi. In verità, temeva che Adele potesse svegliarsi per qualsiasi cosa.

Era diventato più apprensivo, lei lo definiva paranoico.

«Frank?» Adele lo chiamò.

Lui si girò velocemente, lasciando andare la maniglia della finestra.

«Ti ho svegliata?» domandò.

Adele scosse il capo. «No, tranquillo. Ma che fai?»

«C'è puzza qui dentro.»

Frank aprì la finestra, promise che l'avrebbe chiusa dopo cinque minuti e intanto si recò in bagno. Quando fece ritorno in camera sua, Adele era seduta sul materasso e si stava alzando.

«Torna a dormire, è presto» le disse.

«No, non mi va. Scendo a fare colazione con te.»

Erano le sette in punto del mattino e tutti in casa erano svegli; c'era persino Adam che di solito la sera tornava sempre a casa dalla moglie e dalle due figlie, facendo ritorno a lavoro la mattina alle otto, salvo eccezioni.

«Hai freddo?» chiese Frank, mentre scendevano le scale.

«No, ti ringrazio. Sto benissimo» rispose Adele, ormai abituata alle preoccupazioni di suo marito.

I due si sedettero a tavola, dalla sala pranzo sentirono Filomena che in cucina armeggiava con piatti e pentole. Non volò una mosca per tutta la durata della colazione, Frank era impegnato a pensare ai fatti suoi, mentre Adele era ancora un po' nel mondo dei sogni per riuscire a fare conversazione.

Quando Frank si alzò da tavola, Adele lo seguì fino in corridoio.

«Hai molto da fare oggi?» domandò.

Frank si voltò nella sua direzione.

«No, non molto. Perché?»

«Curiosità» rispose lei.

Il moro andò al piano di sopra per prepararsi, mentre lei si andò a sedere sul divano in soggiorno. In quel periodo era sempre stanca, le faceva sempre male tutto, ma soprattutto aveva sempre sonno.

Adele controllò l'ora. Erano le sette e trentacinque, Frank doveva uscire alle otto in punto. Ogni mattina le azioni si ripetevano: lui si alzava, poi si alzava lei, lui faceva colazione, poi arrivava lei, lui andava a prepararsi, lei si sedeva in salotto e prima di uscire Frank la salutava con un bacio.

Sempre. Ogni mattina. Da quando erano sposati, non aveva dimenticato nemmeno un bacio.

«All ieri mi ha detto che Sam vorrebbe chiamarti, ma poi se ne dimentica sempre. Potresti chiamarla oggi, così parlate un po'.»

Frank l'aveva raggiunta in salotto. Era lavato e vestito perfettamente, controllava di aver preso le ultime cose. Adele annuì. Frank si avvicinò al divano, si sporse in avanti e le posò un bacio sulle labbra.

«Ti amo» disse.

«Ci vediamo dopo.»

Dopo di ciò, Frank uscì.

•••

Contrariamente a ciò che molte persone pensavano, Adele in quella grande casa durante il giorno non si annoiava per niente. Anche lei, in effetti, quando aveva realizzato di doverci restare da sola aveva pensato che quelli sarebbero stati i mesi più lunghi della sua vita, ma alla fine non era stato così.

Trovava sempre qualcuno con cui parlare o qualcosa da fare. Filomena, la cuoca della famiglia Guerra, aveva un figlio appena nato. Adele si proponeva di guardarlo, mentre lei era intenta a lavorare. Almeno così poteva fare un po' di pratica.

Il piccolo Sebastian per lei fu preziosissimo. Adele imparò a prendere in braccio un bambino, a cullarlo e anche a farlo addormentare. Filomena scherzava e diceva che prima o poi l'avrebbe chiamata mamma.

Quel pomeriggio, Adele era andata a riposarsi in giardino. Era seduta su una comoda panchina, quando sentii il rombo di un furgone avvicinarsi. Era lo stesso camion che girava da giorni da quelle parti.

La villa accanto a quella sua e di Frank era stata disabitata per anni, ma di recente una coppia (il signore e la signora Tyler) l'avevano acquistata e adesso stavano portando i mobili per arredarla.

Adele rientrò in casa quando sentì arrivare la noia. Si guardò intorno. Quando diceva che non si annoiava diceva davvero, ma c'erano dei pomeriggi dove proprio non trovava niente da fare.

"Penso che chiamerò Sam" si disse alla fine.

Prese il telefono e fece in numero. Sam rispose subito.

«Pronto?»

«Sam.»

«Adele, ciao.»

Rimasero al telefono per quelli che ad Adele sembrarono cinque minuti, ma in realtà erano tre quarti d'ora.

«Come ti senti?» domandò Sam.

«Perennemente stanca, ma nel complesso bene. Sto a casa, mi riposo, faccio e rispondo a chiamate, scherzo con Frank» rispose la castana.

«Quando nasce?»

Adele ci pensò un secondo su.

«Verso fine ottobre, in teoria.»

«Agitata?»

Rispose di no. In realtà, era abbastanza tranquilla.

«Avete già deciso cosa farete?» chiese Samantha.

Quella era una domanda complicata, perché la risposta non era positiva. Frank e Adele non avevano minimamente pensato a cosa fare. Hanno deciso di tenere il bambino, ma sul futuro non si erano ancora pronunciati.

«Il tuo silenzio mi fa intuire la risposta» continuò la ragazza.

«È una decisione complicata.»

«Sì, certo» ribatté Sam. «Su questo non c'è dubbio, ma prima o poi dovrete prenderla.»

Adele sapeva che era vero, ma per il momento preferiva fare finta di niente. Non era certo costretta a decidere così su due piedi cosa fare di quella creatura, giusto?

«Frank è in casa?»

«No. All?»

«Neanche.»

Adele non fece in tempo a sentire tutto ciò che aveva detto Sam, che Filomena si affacciò dalla porta della cucina e richiamò la sua attenzione.

«Scusami, Sam, ora devo andare. Ci sentiamo domani» disse.

«A domani» e Samantha chiuse la chiamata.

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