5.

347 16 168
                                    

                                                                                             Demir


                                                                                        "Prigionieri di una realtà                                                                                                    che non ci appartiene"                                                                                                          Kleo Blake


Incubi


Dolore


Disprezzo


Odio


Questo è tutto ciò che vigeva nella mia testa.


Quando sorge il sole preannuncia l'inizio di un nuovo giorno e siamo costretti ad affrontarne uno nuovo con numerosi problemi e ad ogni evenienza, indossiamo delle maschere che non ci appartengono. Lo facciamo solo per far contenti gli altri, ecco il motivo.


Ero costretto ad indossarle quotidianamente per nascondere le numerose ferite a mia sorella ma inconsciamente era una buona arma di difesa per me stesso. Fingendo di stare bene, avrei potuto per qualche istante allontanare qualsiasi pensiero dalla mia mente.


<<Demir, ti avevo chiesto di non litigare con papà e come al solito hai fatto tutto il contrario>>, iniziò con il dire Jasmine mentre mi seguiva in ogni angolo della casa. <<Non è stata colpa mia>>, risposi secco mentre le gocce di sudore cominciarono a scendere sul mio viso. Spalancai la porta della mia camera e buttai sul letto la felpa che avevo indossato rimanendo a petto nudo. Presi l'asciugamano appoggiato sulla scrivania e iniziai a passarlo su tutto il corpo in modo da poter togliere il sudore in eccesso. Sentivo tutto il corpo accaldato a causa del duro allenamento a cui mi ero sottoposto, al dire il vero a cui mi sottoponevo ogni mattina.


Dopo la scomparsa di mia madre, iniziai a dormire sempre di meno. Rimanevo con gli occhi aperti a guardare il soffitto e tra le note stonate di quel silenzio mi sentivo sempre più perso. Era diventata un'abitudine svegliarsi di mattina presto. Mi posizionavo vicino alla finestra e iniziavo ad osservare le prime luci dell'alba e potevo rimanere lì per ore ma un giorno decisi di cambiare.


Volevo ricavare quel tempo per me stesso, volevo migliorarmi e allo stesso tempo buttare fuori tutta la rabbia.


Iniziai a non sedermi più vicino alla finestra.


I primi anni scendevo in giardino, iniziavo a correre intorno alla casa ma con il passare del tempo quello spazio diventò un recinto e fui spinto dal desiderio di sfuggire da quelle sbarre. Percorrevo mezza città a piedi, ormai sapevo a memoria ogni strada di New York e conoscevo gli orari dell'apertura di molti negozi.


Correvo per allontanarmi da tutto.


Mi paragonavo sempre a una preda e le ombre che mi circondavano erano i predatori. Io dovevo riuscire a correre il più possibile per allontanarmi da loro e ogni mattina superavo il limite perchè volevo separarmi una volta per tutte dal nero che avvolgeva mente e corpo.


Volevo tornare ad essere leggero.


Volevo capire cosa significasse avere il cuore e l'anima che vibrano senza controllo.


<<Come fai a dire che non è stata colpa tua quando lo è chiaramente>>, continuò mia sorella. <<Hai visto perfettamente chi ha iniziato per primo ad attaccare. Io ho provato ad essere educato, anche per finta, lui non è in grado neanche di recitare per un attimo la parte del buono.>> Non potevo vedere il suo volto, le davo le spalle dal momento che stavo cercando dei vestiti nell'armadio.


Desire Of Two Imperfect SoulsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora