08. Cazzo, rispondi!

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*spazio autrice importante, non perdetelo*

Capitolo 8: "Cazzo, rispondi!"

Quella mattina mi svegliai rannicchiata nel letto di Noah.
Erano passati un po' di giorni dalla sera della partita, nei quali non vidi e non scrissi a Federico. Mi dedicavo molto al mio lavoro e una volta finita la giornata, mi rinchiudevo nella mia camera.
Ma Noah aveva finalmente deciso di far pace con la mamma ed era tornato a casa e improvvisamente, chiusa in casa mia, mi sentii terribilmente sola.
Quella era di certo una mia scelta, me ne resi conto ed era una mia scelta anche quella di tagliare fuori il resto del mondo, ma a volte la malinconia mi devastava.
Per questo motivo la sera precedente, esattamente giovedì 1° settembre, decisi di tornare a casa dai miei genitori.
Malgrado il tempo fuori era nuvoloso e pioveva da un po' su Torino, decisi di rassettare un po' delle mie cose in una borsa e mi chiusi la porta alle spalle.
Perché lì sola in quel piccolo appartamento, mi sentivo esattamente come quei nuvoloni grigi che coprivano il cielo torinese.

Perché la malinconia è una brutta bestia e ti devasta interiormente e silenziosamente finché non ti resta più neanche il fiato per respirare. Ed era esattamente così che mi sentivo, mi mancava l'aria.

Mi fiondai giù per le scale e guidai in direzione di casa dei miei, con la pioggia che stava diventando sempre più battente.

Quando arrivai, i miei mi chiesero più volte, come mai fossi lì, ma io ero una stupida codarda e gli rifilai la scusa che mi sentivo sola e avevo bisogno di tornare un po' a casa.
Inutile dire che mi erano bastati pochi istanti, gli abbracci calorosi di mia madre e le scompigliate di capelli di mio padre, per farmi tornare sul viso un sorriso timido.
Loro due erano i genitori perfetti, quelli che tutti i figli vorrebbero, e soprattutto che mirano ad essere per i propri figli.

Io e mia madre siamo sempre state legate, abbiamo sempre avuto quel rapporto amichevole, dove ci confidavamo tutte noi stesse e non avevamo paura di essere giudicate. Perché più che madre e figlia, sembravamo due sorelle.

Tra le braccia di mio padre invece mi sentii protetta.
Perché io e mio padre avevamo sempre avuto un legame speciale, indissolubile.
Perché quando mia madre era incinta, il medico era convinto fossero due maschietti e a mio padre non andava bene, per niente, perché vuole una bambina da accudire e proteggere dai ragazzi che non trovava affidabili, ma alla fine sono nata io, che di femminile ho solo l'aspetto; che da piccola mi prendevano tutti in giro perché preferivo indossare le scarpe da ginnastica e giocare a calcio con i maschietti, anziché mettermi un vestitino rosa confetto e fingere di essere una principessa.

Ritornare a casa, mi aveva decisamente già fatto stare meglio.

Quando salii al piano al piano superiore trovai Noah intento a vedersi un film alla tv, con un occhio già chiuso e l'altro che combatteva per restare aperto.

«Ehy che fai dormi già?» entrai poco elegantemente nella sua camera e lui sussultò dallo spavento.
«Ma sei impazzita?» fu tutto ciò che riuscì a dire prima di iniziare a ridere.
Mi gettai al suo fianco sul letto e mi rannicchiai.
«Che ci fai qui? Sentivi già la mia mancanza?» ridacchiò stringendomi di più.
«Stavo male» mi limitai a dire sospirando forte.
«Cosa c'è che non va?» sussurrò.
Io avevo gli occhi chiusi e un bisogno estenuante di dormire, però mi feci coraggio e mi misi a sedere.
«Malinconia, quella brutta bestia» dissi torturandomi le mani.
«Ti sono tornate le crisi di panico?» era visibilmente allarmato, mi limitai a scuotere la testa, ma le mani non ne volevano sapere di stare ferme.
«Chloe guardami» alzai gli occhi nei suoi e li sentivo bruciare, segno che le lacrime stavano riaffiorando.
«É successo qualcosa con Chiesa?» le parole uscirono talmente leggere dalla sua bocca, che mi stupii.
«Ma sei matto? Non nominarlo, papà potrebbe seriamente dare di matto» cercai di zittirlo e lo vidi intento a trattenersi dal ridere.
Restammo in silenzio per un po', io che avevo lo sguardo fisso sulle mie mani e lui che invece guardava me.

L'intervista || Federico Chiesa Where stories live. Discover now