29. Without you

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Vi consiglio di leggere il capitolo ascoltando rispettivamente: "Aquiloni" per il pov di Federico e "Vorrei proteggerti dal mondo" di Michele Merlo per il pov di Chloe...

Capitolo 29: "Without you"

*Federico's Pov*

«Mi stai lasciando Federico?» mi chiese con la voce spezzata dalla lacrime.
«Non rendere tutto più difficile» scossi la testa, guardando altrove, ovunque ma non lei.
«Non posso perderti. Piuttosto rinuncio alla mia vita, è chiaro?» disse, la vidi stringere i pugni.
«Basta. Va via adesso» il mio cuore andrò letteralmente in frantumi, mentre lo dissi.
«Guardarmi» disse allora. Ma non lo feci, piuttosto continuai a tenere lo sguardo basso.
La sentii avvicinarsi e mi alzò il capo con una mano.
«Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami» disse, sentii la rabbia mutarsi in disperazione nella sua voce.
«Hai sentito?» urlò allora. Ma non parlai, continuai a restare in silenzio e a guardarla solo perché mi tenne il viso con la mano.
Poi mi lasciò andare.
«Sei sicuro della tua scelta?» chiese allora con le braccia incrociate sotto il seno.
«Mi stai lasciando davvero?» concluse guardandomi.
«Direi di si» riuscii a dire calmo.
«Solo perché pensi che non mi fidi di te?» mi chiese amareggiata.
«No Chloe, perché al momento io non riesco a fidarmi di te» dissi quelle parole e mi sentii morire.
«Bene. Sappi che sei uno stronzo Federico Chiesa» mi sputò addosso tutto il suo odio.
«Per te avrei rinunciato a tutto e nemmeno ti accorgi di quanto ti amo» disse allora, rabbiosa.
«É meglio così per entrambi» risposi sottovoce.
Lei rise dal nervoso, le lacrime che tornarono a riempirle gli occhi.
«La verità è che non mi hai mai amata, me ne rendo conto solo adesso. Addio Federico» chiusi gli occhi per un attimo, quelle parole mi stavano uccidendo.

Pensai e ripensai a quello che era successo poco prima. Il modo in cui andò via e mi lasciò solo.
La rabbia si impossessò del mio corpo e iniziai a lanciare per aria sedie e tavoli che erano presenti in quella fottuta sala conferenze. La stessa stanza in cui la vidi la prima volta. Che strana che è la vita a volte, si prende beffa delle persone.
Pensai che lì dove ebbe tutto inizio, quel giorno, stupidamente, misi fine alla nostra storia.
Poggiai le mani sull'ultimo tavolo rimasto ancora in piedi. Respirai a fatica, perché mi sentii morire dentro. Strinsi le mani al bordo e urlando lanciai per aria anche quello.

Mi guardai intorno, il respiro affannato, c'era un casino. Fuori e dentro di me.
Mi accasciai a terra, sentendo le gambe venir meno. Mi sentii un tale coglione in quel momento.

Abbassai il capo sulle ginocchia e iniziai a piangere. Non mi succedeva mai, io non piangevo, ma quel giorno mi sentii morire, perché infondo sapevo di aver preso la persona più speciale che avessi mai conosciuto.

Realizzai allora, che il dolore che stavo provando, non era nemmeno lontanamente paragonabile a ciò che probabilmente provò lei.
Ma cosa si può fare quando perdi la fiducia di una persona? Sperai solo che tutto potesse tornare come un tempo.
Perché se c'era una cosa che avevo imparato in quei mesi trascorsi con lei, era che non ci si arrendeva mai. Lei non lo avrebbe fatto.
Lei era una di quelle persone che credeva nel per sempre, nel e vissero felici e contenti.
Mentre io, avevo rinunciato a noi, ad essere felice.

Abbandonato in un angolo della stanza, con la testa ancora china sulle ginocchia, sentii la porta aprirsi. Non alzai neppure lo sguardo, non mi importasse chi fosse.

«Che diamine hai combinato?» la voce di Dusan mi arrivò addosso come un missile.
Non gli risposi, l'unica cosa che fui in grado di fare, fu crogiolarmi nel mio stesso dolore.
«Federico sto parlando con te» disse duro.
Lo sentii iniziare a sistemare il casino che avevo creato intorno a me.
Mi sentii vuoto. Un corpo. Un ammasso di ossa e carne, senza vita, senza anima, senza una ragione per poter continuare ad andare avanti.
Il mio silenzio preoccupò Dusan probabilmente, che dopo aver rimesso a posto l'ennesima sedia, si mise seduto accanto a me.
«Perché l'hai lasciata?» mi sussurrò, la sua voce si era abbassata e risultò più calma.
«Perché ha perso la mia fiducia» sussurrai io.
Quanto diamine faceva male.
«Sono stronzate. Sei stato uno stupido e lo sai anche tu» mi canzonò.
Probabilmente aveva ragione.
«Quel che è fatto, è fatto, non intendo tornare indietro» dissi con il cuore che si strinse.
«Certo. Tu stai benissimo comunque, non ha distrutto questo posto in preda alla rabbia» continuò a darmi contro.
Non avrei retto a lungo. Volevo rimanere solo.
«Lasciami in pace. Voglio restare solo» dissi allora.
«No che non ti lascio da solo» disse testardo.
Sbuffai e mi alzai da terra.
Quel posto era ancora un mezzo casino.
«Che vuoi da me Dusan?» dissi camminando su e giù.
«Voglio che ti togli di dosso quel tuo fottuto orgoglio e corri da lei» mi urlò contro.
Si alzò. Quei quindici centimetri d'altezza che ci separavano.
«Devi farti i cazzi tuoi» urlai rabbioso.
Gli afferrai la maglietta e lo spinsi contro il muro.
Non sapevo cosa stessi facendo.
Io non ero quello.
Mi imitò, stringendo la mia felpa tra le sue mani e mi spinse via da lui.
«Ritorna in te, diamine. Sto perdendo la pazienza» urlò ancora.
Respirai a fondo, tentando in tutti i modi di calmarmi. Avrei rischiato di fare qualcosa di cui mi sarei pentito.
Abbassai la testa sulle mie scarpe e sfogai la mia rabbia, piangendo.
Fu solo quando mi trovai stretto tra le braccia di Dusan, che il mio pianto divenne incontrollato.
Sembravo un bambino che piangeva quando gli veniva tolto il suo giocattolo preferito.
Mi bastò restare lì, fermo, a sfogare tutto il mio dispiacere.

L'intervista || Federico Chiesa Where stories live. Discover now