Capitolo 4

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"C'è nei sogni,
specialmente in quelli generosi,
una quantità impulsiva
e compromettente
che spesso travolge
anche coloro che
vorrebbero mantenerli
confinati nel limbo innocuo
della più inerte fantasia"
ALBERTO MORAVIA

Mi avvicino a passo svelto, seguito da Edoardo in evidente eccitazione.
Ha sempre amato picchiare la gente, vederla soffrire per mano sua e, nel periodo più scatenato e disordinato della mia vita, quando avevo all'incirca 16 anni; entrambi siamo stati coinvolti in molteplici risse...alcune delle quali causate senza un apparente motivo.
Amavamo la sensazione di onnipotenza regalata dall'adrenalina che circolava nel sangue e ora, a distanza di qualche anno, ci ritroviamo catapultati esattamente al punto di partenza.

«Ehi, Stè» urla mio fratello, attirando l'attenzione di tutta la folla su di sè.
«Non credevo che avessi le palle di presentarti qui» il biondino fuma una sigaretta guardando attentamente negli occhi Edoardo che, dal canto suo, lo fissa con aria truce.
«Che ne dici di risolverla tra me e te?» propone allora Edo, indicando una stradina buia di fronte al locale.

Io, seguendo un piano ben preciso architettato durante il tragitto, seguo tutta la scena restando nascosto in quella specie di vicoletto.
Stringo le mani a pugno in attesa di poter colpire alle spalle il biondo, esattamente come ha fatto lui qualche ora fa.
«Ci sto» risponde semplicemente Stefano, gettando a terra il mozzicone di sigaretta e lanciando un ultimo sguardo compiaciuto ai suoi amici.

A lente falcate si avvicina ad Edoardo che, dandogli una forte pacca sulla spalla, lo conduce nel vicolo stretto e buio.
«Ti pentirai amaramente di aver toccato mio fratello» gli sussurra all'orecchio, dopodiché con una spinta lo costringe a voltarsi nella mia direzione.
«È tutto tuo, fratellino» fa scoccare la lingua sul palato e, infilando le mani in tasca, poggia la schiena contro il muro in attesa di godersi la scena.

Faccio scrocchiare leggermente il collo, prima a destra poi a sinistra; stringo i denti mentre con un rapido scatto lo raggiungo tirandogli un pugno in pieno volto.
Senza nemmeno realizzare cosa è appena successo stramazza a terra portando una mano al naso già sanguinante.
Colmo di adrenalina, mi piazzo a cavalcioni sopra di lui ed inizio ripetutamente a colpirlo in viso...uno, due, tre, dieci cazzotti senza mai riuscire a fermarmi nè tantomeno a placare la mia ira.

Chiudo gli occhi continuando a sferrare un pugno dopo l'altro e, senza sapere il motivo, la mia mente vaga fino a scontrarsi con il ricordo di mia madre.
Quante notti ho passato chiuso in camera, solo con me stesso. L'unica compagnia erano i demoni conficcati nel mio strano cervello.
Una rabbia indescrivibile che si manifestava ogni singola notte.
Un po' come quando senti lo stomaco stringersi così tanto da far male, quando le lacrime premono così forte per uscire da farti bruciare gli occhi.

A volte mi capita di sentire la mancanza di mamma...non della mia, ma di una vera madre.
Una di quelle che ti raccontano le favole e ti rimboccano le coperte, quelle che ti tendono la mano nei momenti più bui e sorridono più di te in quelli gioiosi.
Mia madre, invece, è sempre stata l'esatto opposto di tutto ciò, così tanto da odiare persino di essere chiamata "mamma". Pretendeva che noi la chiamassimo Selena.
Odiava così tanto mio padre da odiare anche noi per il semplice fatto di essere suoi figli.
Non ricordo un solo abbraccio o una parola dolce da parte sua.
Lei non c'era, non c'è mai stata e mi sono rassegnato al fatto che non ci sarà mai.
Ha scelto di andarsene quando ero piccolo, troppo piccolo per affrontare il mondo senza una mamma.

L'ho odiata così tanto da vergognarmi di essere suo figlio.
Ho sempre odiato i miei occhi, così dannatamente simili ai suoi.
Ricordo il suo sguardo freddo, quasi glaciale...un po' come il suo cuore.
Ho ripetuto più e più volte nel mio cervello che non sono suo figlio e lei non è mia madre. Un pensiero che attanagliava la mia mente da bambino, tornando quasi come in loop.
Mi piace definirmi un bastardo, un figlio di nessuno.

Ho sempre invidiato Miriam per il bellissimo rapporto con sua madre Rosa.
MIRIAM.

Tiro l'ennesimo pugno sul volto ormai irriconoscibile di Stefano.
«Axel, basta cazzo! Così lo ammazzi» grida mio fratello, cercando di tirarmi su per le braccia.
Pian piano ritorno in me, quasi risvegliandomi da uno stato di trance. Osservo le mie mani spaccate dalla brutalità dei cazzotti e sposto lentamente lo sguardo sul viso del biondino.
È completamente ricoperto di sangue e fatica a respirare, tossisce senza riuscire a muoversi.
Mi alzo quasi a rallentatore da quel corpo steso e tumefatto, cercando di scaricare l'adrenalina ancora in circolo.

Tremo come una foglia e impiego qualche istante a riprendere totale controllo di me stesso.
Mio fratello si avvicina lentamente a Stefano guardandolo dall'alto con aria compiaciuta.
«Spero tu abbia imparato la lezione.
Tua sorella sarà felice di essere scopata di nuovo da me. Chissà magari ci sta per una bella cosa a tre. Ora la chiamo subito» ride di gusto per poi sputare in pieno viso al biondino.

«Forza, andiamo. Ti meriti un bel bicchiere di Whisky» mi fa cenno di seguirlo.
Saliamo in auto mentre osservo un'ammasso di ragazzi correre in direzione del malcapitato ancora steso al suolo.
Accendo una sigaretta e, stringendola tra i denti, cerco di pulire via il sangue dalle mani strofinandole sulla maglia.

«Non fumare qui dentro, cazzo» Edoardo sbatte una mano sul volante per poi continuare a guidare.
«Sta' zitto, porca puttana» lo rimbecco, continuando a fumare nervosamente.
«Fermati sotto casa mia e aspettami. Devo cambiarmi» gli ordino, tenendo lo sguardo fisso sulla strada.
Una volta arrivati, giro la chiave nella toppa e mi precipito in bagno.
Apro il rubinetto e lascio che l'acqua gelida scivoli tra le mie mani insieme al sangue denso del biondo.
Mi spoglio velocemente e, dopo aver preso dall'armadio una felpa e un pantalone della tuta scelti a caso, sono pronto per uscire di nuovo da quella casa austera.

Richiudo la porta alle mie spalle e prendo nuovamente posto sul Range Rover Evoque di Edoardo.
«Portami a bere» esclamo, richiudendo con forza la portiera dell'auto.
Annuisce con un cenno del capo per poi squadrarmi dalla testa ai piedi.
«Come cazzo ti sei vestito?» domanda quasi schifato.
«Non sono cazzi tuoi» poggio i piedi sul cruscotto sotto lo sguardo contrariato di mio fratello.
«Andiamo un'oretta al pub, poi verrai con noi a ballare al Sex Vibes. Ci stai?» chiede tutto d'un fiato.

Ci penso qualche istante posizionandomi più comodamente sul sedile.
«Ci sarà qualcuna delle tue amichette con cui divertirsi?» lo osservo attentamente in attesa di una risposta.
«Certo, non potrei mai deluderti» fa l'occhiolino mentre preme l'acceleratore e inizia a fare slalom tra le varie autovetture.
«Bene, allora sarò dei vostri»

«Verranno anche Lars, Gioele e Carlos. Sono partiti un'ora fa da Roma»
«Bene, bene. Ci sarà da divertirsi allora» ghigno tra i denti.

La serata si prospetta alquanto impegnativa, l'alcol scende a fiumi e dopo circa un'ora passata a scolarmi qualsiasi tipo di cocktail sono completamente sbronzo.
Con l'aiuto di Edoardo salgo in macchina e, dopo un tragitto che sembra infinito, finalmente scorgo l'insegna del Sex Vibes.
Nonostante la vista sia completamente appannata riconosco immediatamente Gioele e Lars all'entrata del locale.

«Cazzo fratello, sei uno straccio» esclama Lars dandomi una sonora pacca sulla spalla.
«Quella cazzo di ragazza gli ha fottuto il cervello» sghignazza Edoardo, zittendosi subito dopo aver visto il mio sguardo truce.
«Dov'è Carlos?» domando, cercando di cambiare argomento.

I due si voltano indicando un punto indefinito alla mia destra. Li seguo con lo sguardo e, dopo aver esaminato a fondo una marea di volti estranei, riesco finalmente a riconoscerlo.
Sono passati molti anni dall'ultima volta che l'ho visto e mi prendo qualche istante per osservarlo meglio.

Il ragazzino paffutello e occhialuto ha lasciato il posto ad uno stangone di circa 1,90 m.
La canotta dei Laker's quasi esplode risaltando le braccia muscolose, la pelle olivastra sembra brillare sotto la luce dei lampioni. Gli occhiali da vista sono spariti mettendo in risalto gli occhi color smeraldo e dal taglio ispanico.
I capelli neri come la pece ricadono all'indietro facendo scivolare un piccolo ciuffo ribelle sulla fronte.
Il fisico slanciato e muscoloso rende quasi impossibile riconoscerlo o anche solo paragonarlo al ragazzo basso e tarchiato di qualche anno fa.

«Cazzo, hermano» lo sento gridare.
«Non ci posso credere, porca puttana» ribatto, abbracciandolo e godendomi quel contatto fraterno.

L'inferno in noi 2 {CAOS}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora