Parte III - L'incontro

97 12 4
                                    


Le cinque ore di viaggio le erano sembrate volare in un soffio. Eleonora avvertiva l'adrenalina a mille scorrerle nelle vene. Aveva passato tutto il tempo con gli auricolari infilati nelle orecchie e la musica a palla, googlando notizie su Napoli. I posti più belli da visitare, le distanze, che mezzi prendere. Si era informata su tutto, o almeno così sperava. Era la prima volta che affrontava un viaggio da sola, e non ne era affatto spaventata. Anzi, si sentiva carica come non mai.

Era già fremente, in piedi dietro la porta del treno da almeno quindici minuti, quando questo aveva rallentato e gli altoparlanti avevano annunciato l'arrivo alla stazione di Napoli. Il cuore le stava schizzando fuori dal petto per l'ansia. Ma ansia di cosa? Non lo sapeva neanche lei. Si sentiva come se avesse un appuntamento con la vita, lì, da qualche parte. Come se ci fosse qualcuno ad attenderla, in qualche viale o qualche vicolo di quella grande città.

Lo stomaco brontolò appena mise piede sul marciapiede del binario cinque, ma non ci fece neanche caso. Cercando il cartello che indicava l'uscita, si incantò per un attimo a guardare l'enormità dell'edificio principale che ospitava la stazione. Ma non era quello che voleva vedere. Lei come sempre, cercava il mare. Nella sua vita era sempre stata l'unica costante presente, il suo adorato mare. In particolare, tra le varie ricerche che aveva fatto prima, aveva trovato la destinazione perfetta per la sua fuga: il 'Castel dell'Ovo'. Si era entusiasmata a leggere la leggenda che avvolgeva quel luogo, l'isolotto su cui poggiava, voleva vedere con i suoi occhi dove la sirena Partenope era approdata prima di fondare Napoli.

Google Maps l'aiutò a trovare l'accesso alla metropolitana e prese al volo il treno della Linea 1 diretto verso il centro. Sapeva di dover scendere alla fermata 'Toledo', eletta la più bella d'Europa, e da lì avrebbe continuato a piedi.

Uscì dal vagone col naso in aria. Mai in vita sua aveva visto una cosa così bella. Le sembrava di essere immersa in un cielo stellato. Le scale mobili che la portavano verso la superficie viaggiavano in una specie di immenso tunnel di luce azzurra e argento, surreale, che le diede la sensazione di essere finita in un mondo parallelo, quasi come se stesse sognando. Fu un brutto colpo quando, raggiunta la superficie, lo scenario cambiò e si trovò avvolta nell'oscurità e nell'innaturale silenzio di una Via Toledo praticamente deserta.

Respirò a pieni polmoni e si accese una sigaretta. Sentiva già nell'aria l'odore del mare, sapeva che era vicino, mancava davvero poco.

Dio come stava bene! Non avvertiva questo stato di benessere da chissà quanto tempo. Ebbe la sensazione di essere a casa, come se quella città fosse sempre stata la sua e non un posto sconosciuto di cui avere timore.

Ultima boccata avida di nicotina prima di far schizzare la cicca, e lo sguardo si posò finalmente sul lungomare. Alla sua destra, sotto una luna luminosa come non mai, si stagliava l'ombra sontuosa del castello.

Finalmente aveva raggiunto la sua meta.

Il lungomare semi-deserto le mise addosso un leggero disagio. Ma durò solo un attimo. Decisa, e rapita dall'imponenza del bastione, attraversò la strada e si affacciò a guardare gli scogli scarsamente illuminati dalle luci dei lampioni. Il rumore del mare placido che lambiva le rocce sottostanti le trasmise serenità. Mentre si riempiva i polmoni della fresca aria salmastra, le sue narici vennero raggiunte anche da un'altra fragranza a lei familiare. Qualcuno vicino a lei stava sicuramente fumando una 'sigaretta magica'. Quell'odore di limone e terra era inconfondibile per una intenditrice come lei: 'lemon haze'.

Chiuse gli occhi a fessura per sezionare l'oscurità finché, a meno di dieci passi a ore due, scorse una figura incappucciata stravaccata sugli scogli. Attese impaziente l'attimo in cui l'ombra avvicinò il joint alle labbra per tirare, e la piccola brace rossa illuminò scarsamente il volto spigoloso di un ragazzo, macchiato di bruno da una leggera barba incolta. Ma quello che attrasse maggiormente Eleonora furono le dita sottili che reggevano la canna. Mani eleganti e delicate.

Per lei, le mani erano una delle prime cose da guardare in una persona. "Quelle sono mani da musicista" pensò. Forse perché un po' le ricordavano quelle del suo papà.

Le gambe si mossero in automatico senza aspettare i comandi del cervello e, in una manciata di secondi, Eleonora raggiunse il solitario tipo incappucciato dalle mani eleganti steso sugli scogli. Avrebbe potuto essere chiunque, un maniaco, un delinquente, ma il pensiero non la sfiorò neanche mentre gli si avvicinava rapida e tentava l'approccio, con voce squillante, «Ehi scusa, posso chiederti una cosa?».

Filippo ruotò leggermente la testa verso di lei, fissandola stranito per qualche secondo. "Una ragazzina tutta sola, su Via Caracciolo, la notte di Natale?!" pensò, e le sorrise d'istinto perché doveva essere anche lei una un po' matta e piena di problemi se era finita lì in quel momento, esattamente come lui.

«Dimmi» rispose, breve e conciso, mettendosi a sedere nel tentativo di scorgere meglio i lineamenti della ragazza nell'oscurità.

"Questo mi prenderà per pazza!" pensò Eleonora, ma la domanda che voleva porgli era ormai a fior di labbra e non poteva più trattenerla «Sapresti dirmi dove la trovo un po' di quella robetta sopraffina che stai fumando tutto da solo?». La poca luce nascose, agli occhi del ragazzo, il rossore che le aveva colorato leggermente le guance. Provò subito un pizzico di imbarazzo, per aver fatto una domanda così inopportuna a uno sconosciuto.

Ma lei era fatta così, zero filtri cervello-bocca. Pensava e poi parlava, senza neanche riflettere.

Un altro pensiero malsano la colse, quasi di sorpresa, mentre si avvicinava di più al tipo incappucciato, "Però, davvero carino Mr Lemon Haze!", e fece davvero fatica a trattenersi dal sederglisi accanto.

Filippo era sempre più divertito dalla strana intrusione in quella che sarebbe dovuta essere la sua triste e solitaria notte di Natale, col lutto nel cuore per non aver rivisto Elena.

Notò che la campionessa d'approccio che aveva interrotto i suoi pensieri doveva essere decisamente più giovane di lui, ma non si sorprese troppo del fatto che, nonostante questo, gli stesse chiedendo dell'erba. Lui già la vendeva ai tempi in cui, probabilmente, aveva proprio quella stessa età.

«Sei fortunata, piccere'» rispose, «Visto che è Natale ti faccio 'nu regalo».

Tirò fuori dalla tasca del bomber l'altro spinello che si era già preparato, e lo tese verso la ragazza.

«Però mo mi dici pure chi sei e cosa ci fai qua a chest'ora, già che ti sei seduta» continuò, sorridendo «Perché dall'accento si capisce subito che non sei di queste parti!».

Una notte (di Natale), a NapoliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora