Capitolo tre.

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Capitolo tre. 


HARRY. 


Viaggia di notte per evitare che la gente lo segua. Ha dormito di giorno ed è arrivato a casa in settantadue ore.

Casa.

Non pensa di avere ancora il diritto di chiamarla casa. Non la sua, almeno.

Per tantissimo tempo ha vissuto in hotel, sono comodi e tranquilli con un ottima sicurezza. Non deve mai andarsene se non vuole farlo.

C'è qualcuno che si preoccupa di fargli la spesa e il bucato.

Quando qualcosa si rompe c'è qualcuno che la ripara.

Il clima è più freddo di quanto ricordasse. Prega che Liam si sia ricordato di dire alla sua domestica di mettergli in valigia gli abiti pesanti, a proposito di Liam voleva andare con lui per supporto morale, ma ha declinato.

Gli ha detto che avrebbe fatto una toccata e fuga ma in realtà è partito con qualche giorno di anticipo rispetto a quanto programmato perchè ha bisogno di prepararsi psicologicamente prima di rivederlo.

Anche solo guardarlo dall'altra parte della strada, ha bisogno di un pò di tempo extra per ricordare a se stesso perché ha rinunciato ai suoi sogni per passare innumerevoli momenti rinchiuso in uno studio, e notti insonni a viaggiare in bus attraverso il paese.

Ha bisogno di un immagine di lui da portare con sé insieme alla convinzione di aver preso la decisione giusta. Ha bisogno di sapere che è andato avanti, spera sia così- Vuole che lo creda felice. Spera che stia con qualcuno che lo tratti meglio di quanto non ha fatto lui, perché Louis -Ricordare al suo cervello il suo nome per intero è un duro boccone da mandare giù, insieme a tutti gli altri ricordi- si merita questo e molto di più.

Entra nel parcheggio del suo hotel, abbassa il cavalletto e toglie il casco. Infila anche un paio di occhiali finti e cala un cappellino da baseball sulla testa. Non vuole essere riconosciuto, ha bisogno di stare in pace per un pò.

Ha espressamente chiesto a Liam di prenotargli un hotel dove non ha alcuna possibilità di essere riconosciuto, perciò Liam ha giustamente optato per un hotel a due stalle.

L'hotel è il più modesto possibile, ed è proprio l'ultimo posto dove qualcuno lo cercherebbe. Cammina nell'atrio comune dove risuona l'eco di una TV e il caffè stantio è sistemato in una rocca vicino alle ciambelle di quella mattina.

"Come posso aiutarla?" La receptionist parla ancora prima che oltrepassi la soglia. La sua voce è acuta e fastidiosa. Ha i capelli talmente tirati all'indietro che il suo viso non può fare a meno di sorridere. Non la saluta, ne sorride non vuole cercare di essere amichevole perché non lo è affatto. Vuole solo andare in camera e dormire un pò. "Devo fare il check in." Gli dice. Gli passa la patente e attende, Tamburella con le dita sul bancone mentre lei digita il suo nome al computer.

"Il signor Styles è suo padre? E' il professore del mio corso di scienze politiche." Chiede lei, con un luccichio di speranza negli occhi.

Scuote il capo, anche se forse la risposta è sì. Non può saperlo visto che se ne andato, e suo padre ha smesso di rivolgergli parola quando ha mollato il college.
"Oh, Che peccato è un ottimo professore."

"Buon per lei." Borbotta. Il suo viso diventa impassibile, vista la sua mancanza di entusiasmo.

"Se c'è qualcosa che posso fare per lei, mi faccia sapere." Dice, tornando a parlare con quella voce acuta, fastidiosa e molto infantile.

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