Capitolo 20

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All'improvviso, sentii una sorta di corda stringermi alla vita e sollevarmi dal pavimento: vidi i Titani concentrarsi sugli altri dei, mentre la morsa della corda iniziava a diventare sempre più stretta, tanto da provocarmi dolore e da rendere quasi impossibile la possibilità di liberarmi. Guardai in basso e intravidi Ade che mi scrutava dal basso, mentre manovrava la corda, con un ghigno pieno di superiorità e uno sguardo colmo di sfida.

Fui lanciato alle spalle della divinità e caddi sopra un mucchio di macerie di schiena; trattenni a fatica un grido di dolore, soffocandolo con un grugnito. Mi rialzai e cercai Ade in mezzo a quella confusione: davanti a me, tutti erano concentrati divisi in gruppi sui Titani, ma i vari scontri sembravano essere tutti alla pari. Notai Ade avanzare verso di me con in mano un coltello d'ossidiana.

Presi la spada dalla mia tasca e infilai la lama all'interno della sua spalla destra. Sgranò gli occhi ed esplose in un urlo assordante; il suo sangue, rosso scuro, mi scaldava il volto e macchiava i vestiti.

-Ti sei fatto il fighetto con la fune, e ora?- dissi, intanto che estraevo la spada dalla sua spalla.

La divinità barcollò leggermente all'indietro, guardando la sua ferita alla spalla, stordito; il sangue continuava a uscire, continuando a inzuppare ancor di più la sua giacca. Sentii i suoi occhi guardinghi su di me, poi il suo pugnale tracciò un taglio attraverso tutta la lunghezza della mia coscia destra, per poi tirare fuori la lama dalla carne; un gemito scappò dalla mia gola mentre mi piegavo leggermente verso la ferita e avvertii i miei respiri diventare più veloci e faticosi. Vidi la lama precipitarsi verso il mio collo, riuscii a spostarmi in tempo verso destra per rendere quella mossa vana, colpii con un pugno la nuca, ma la divinità sembrò non reagire al colpo e mi colpì al polso sinistro. Se il pugnale fosse sceso due centimetri in più, a quest'ora non avrei la mano sinistra. Crollai sulle ginocchia.

-Hai parlato troppo presto, Achille-

Ade mi sussurrò all'orecchio queste parole, con evidente soddisfazione.

In tutta risposta, mi alzai, colpii la zona tra coscia e inguine e mirai un altro fendente al polpaccio sinistro. Ade incassò il colpo e sferrò un calcio contro il mio ginocchio destro, producendo dei sonori crack provenienti dalle mie ossa rotte. Grugnii dal dolore, cercando di restare in piedi.

Afferrai Ade per la sua giacca, nonostante la mano ormai andata, e lo gettai a terra, tenendolo fermo con il braccio premuto sul suo collo, per poi trafiggere il torace di Ade appena sotto l'ultima coppia destra di costole.

-Ne sei sicuro?-

Appena mi resi conto che il combattimento stava per avere inizio, sgattaiolai al piano di sopra, alla ricerca della stanza dove si trovavano Artemide ed Apollo, per permettere ad Efesto di raggiungere gli altri.

Non impiegai molto tempo a trovare la stanza: era l'unica con la porta chiusa.

-Efesto!- dissi, appena entrai –Vai dagli altri, resto io qua-

La divinità non se lo fece ripetere due volta, mi ringraziò e poi uscì dalla stanza. Portai il mio sguardo verso i due letti e per poco ci restai secco: i corpi delle due divinità erano drasticamente magri, così come il loro volto pallido, più simili a un teschio. Mi avvicinai a loro e vidi che stavano tremando; posai le mie mani sulle loro fronti. Scottavano, la febbre era molto alta. Misi del ghiaccio per tentare di far abbassare la temperatura, anche se sapevo che sarebbe stato inutile. Una cosa che ancora mi turba ancora oggi al solo pensiero sono i loro sguardi smarriti, fissi sul soffitto, come se ci fosse qualcosa o qualcuno sopra di loro.

In quella stanza, non riuscivo a stare tranquillo, volevo vedere cosa stesse succedendo.

Aprii leggermente la porta e diedi un'occhiata al combattimento. Si erano tutti divisi in piccoli gruppi, ognuno concentrato su un singolo Titano: il primo che vidi fu Crono che stava lottando con non poche difficoltà contro i suoi figli Zeus e Poseidone; a qualche metro di distanza, verso destra c'era Oceano, travolto dai colpi veloci di Era e Teti, mentre alla loro sinistra, Iperione era appena stato ferito dalla lancia di Atena. Non riuscii a vedere altro, e non rischiai ad espormi oltre. Tutti i rumori, però, furono ovattati all'improvviso da un urlo assordante, così forte da far tremare quasi le pareti; mi richiusi dentro la stanza, e sentii i gemiti di terrore delle due divinità. Si erano spaventate a quel rumore, stavano piangendo.

Mi misi tra i due letti per cercare di consolarli e tranquillizzarli, anche se ero assalito da forti dubbi.

"Cosa cazzo sta succedendo?"

L'urlo di Ade fu così forte da far sparire per qualche istante tutti gli altri rumori che riecheggiavano nella stanza: gli occhi erano spalancati e rivolti verso la spada, ancora conficcata nella carne. Il sangue continuava a uscire a fiotti, macchiando il pavimento. Estrassi la lama dal suo corpo, facendo uscire dalla sua bocca un altro grugnito di dolore.

-Non parli più Ade? Non mi pare di averti tagliato la lingua-

La divinità cercò di mettersi seduta, stringendo quella ferita con la mano.

-Avvicinati, dai- mormorò, nonostante il dolore che quell'azione gli procurasse.

-Dammi un motivo per farlo-

Ade lasciò scivolare il coltello lontano dal suo corpo.

-Non ho più il pugnale. Una mano devo tenerla ... qui, attorno al torace, non potrei strozzarti neanche se volessi. Sei ... sei solo tu, in grado di mettermi fuori dai giochi-

Mi avvicinai, sedendomi affianco a lui con lentezza e tenendo il pugno stretto intorno all'elsa della spada, senza abbassare la guardia.

-Volevo solo pulirti il sangue che hai sul volto. Sai, non voglio che il mio sangue profani un volto così angelico e bello-

Le sue dita affusolate passarono sulle mie guance: lo sguardo di Ade era pieno di dolcezza e tenerezza. Non stavo capendo. Dove voleva arrivare? Perché stava facendo questo?

All'improvviso, sentii le sue labbra posarsi sulle mie. Lo allontanai all'istante e gli punta la punta della mia spada alla gola.

-Che cazzo fai?-

-Che c'è di male? Non ci sta guardando nessuno e resterà un piccolo segreto tra noi due ... eh?-

Mi guardai attorno, per accertarmi che nessuno ci stesse guardando, poi riguardai Ade, misi il mio braccio attorno alla sua vita e lasciai che le sue morbide labbra si riposassero di nuovo sulle mie e mi lasciai travolgere da quel bacio. I suoi baci iniziarono a spostarsi verso il mio collo e non potei far altro che sentire quell'improvvisa sensazione di piacere invadere il mio corpo e ansimare di piacere.

-Achille- mormorò Ade, mentre mi baciava - avremmo potuto fare scintille ... e invece hai scelto di scappare dal mio regno ... ma rimedieremo presto-

Le labbra di Ade si staccarono dal mio collo.

Mi allontanai da lui e lo vidi alzarsi, stringendo ancora la sua ferita.

-Cosa stai di ... -

Non riuscii a concludere la frase.

Sentii di nuovo quello stesso dolore che avevo provato in quel capanno. La spada cadde dalle mie mani, che non riuscivano a stare ferme a causa del tremore, mentre il mio corpo stava diventando sempre più debole. Mi aveva colpito al tallone. Di nuovo.

-Ma ... -

-Come hai fatto se il tuo pugnale era lontano? Quel pugnale, se ce la fai girati, è ancora lì ... non ti ho mai detto che ne avevo solo uno-

Mi voltai, ed effettivamente era ancora lì.

-Bastardo-

-Si chiama furbizia, tesoro ... ah, e grazie del Dilitírio. Come ci si sente a perdere?-

Non risposi. Il dolore stava diventando sempre più intenso.

-Se non ti dispiace, devo concludere ciò che ho iniziato-

Lo vidi andarsene tra le macerie, zoppicando.

Mi aveva fregato così, con un bacio.

Sentii il mio corpo aderire al pavimento, mentre dentro di me sentivo le forze abbandonarmi per lasciare il posto alla morte.

"Mentre parlava così la morte l'avvolse,

la vita volò via dalle membra e scese nell'Ade,

piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore"

Quei versi furono l'ultimo mio pensiero, prima di chiudere gli occhi per sempre, mentre l'ambiente veniva coperto da uno strato di fumo verde.

Rivolta dal TartaroWhere stories live. Discover now