Prologo

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Houston, we have a problem.

Il sole picchiava prorompente, illuminando con i suoi raggi ogni angolo possibile del Giappone. Due liceali erano appena uscite da scuola e si stavano dirigendo con calma verso casa di una delle due. La più bassa teneva in bocca un ghiacciolo, praticamente ancora integro, mentre l’altra solo lo stecco di legno che si rigirava in bocca senza dargli tregua nonostante il sapore legnoso andasse sempre più gradualmente a sostituire quello dell’amarena.
Era estate, il cielo era limpido, senza neanche una nuvola all’orizzonte. Si udiva il frinire delle cicale dentro alle aiuole riempite dei colori estivi che andavano dai più svariati: un giallo e un rosa pastello affiancati da un viola e da un rosso sgargianti, che senza farlo apposta, distoglievano l’attenzione dagli altri fiori con colori più tenui. I bambini correvano verso le aiuole che costeggiavano l’entrata del parco, spogliandole dei loro colori, accucciati prendevano il fiore più bello, correndo allegri delle loro mamme per donarglielo. Altri giocavano nel parco allegramente: grida gioiose, c’era chi si rincorreva, chi saliva sullo scivolo sentendosi il re del mondo da quell’altezza, che non avrà superato i due metri. Altri bambini, però, piangevano tirando le sottane alle madri, ormai esasperate perché volevano salire sull’altalena però già occupata da qualcun altro, ma quelle povere madri che potevano fare?

Le due stavano camminando in silenzio. Una guardava il telefono, l’altra teneva la testa leggermente china verso il cielo, beandosi di quel profondo azzurro misto al verde acceso delle foglie che facevano ombra alle due. Sasha si tolse il ghiacciolo dalla bocca per poter parlare e dovette alzare la testa per guardare Hikaru negli occhi, essendo che tra le due c’era una differenza di ben trenta centimetri esatti. Hikaru, avendo notato con la coda dell’occhio l’alzata di testa dell’amica, abbassò lo sguardo verso di lei, aspettando che le dicesse qualcosa.
«Oggi verrai alla mia partita»
«Ho altra scelta?» Replicò l’albina con tono sarcastico mentre guardava l’amica, e un leggero sorriso le crebbe in volto.
Era da una settimana che la partita era stata programmata, era ovvio che ci sarebbe andata. Sasha non faceva che allenarsi ormai, capitava che facevano videochiamate verso la sera tardi e per solidarietà anche Hikaru lo faceva.
«La mia non era una domanda» Rispose prontamente Sasha, sfoggiando un sorriso vittorioso e aumentò il passo, che era già abbastanza veloce per stare dietro a Hikaru, superandola.
«Sbrigati, voglio tornare a casa per esercitarmi prima di oggi pomeriggio, e tu mi aiuterai»
«Come se in questi giorni non ti fossi allenata abbastanza, e poi ti ricordo che io gioco a pallavolo, non a baseball»
«È pur sempre uno sport con la palla no?» Disse con tono sarcastico Sasha, sapendo benissimo la cazzata che aveva detto, francamente, non ci credeva nemmeno lei. Ma era fatta così, prima di parlare o fare qualcosa non rifletteva mai.
«Spero tu ti sia portata il cambio perché non ho intenzione di fermarmi a casa tua» Disse Sasha tenendo quel suo sorriso beffardo in volto. Hikaru scosse la testa divertita e seguì l’amica, aumentando anche lei il passo, ma una falcata delle sue erano quasi due di quelle dell’amica.
Non erano molto lontane da casa della corvina, ci impiegarono si e no cinque minuti. Hikaru invidiava la sua casa. Sì insomma, chi non l’avrebbe voluta, con tanto di giardino… Tutta bianca con finestre e porta finestre scorrevoli in vetro. Nonostante Sasha fosse italiana, come in Giappone, prima di entrare in casa ci si toglieva le scarpe, ma non perché influenzati dalle tradizioni giapponesi, ma bensì i suoi genitori lo facevano ancora prima di trasferirsi.
La casa era uniforme, di un bianco perlaceo, e per dare qualche tocco di colore delle piante erano posizionate vicino alla porta d’ingresso e sul tavolino che c’era davanti al divano. La casa comprendeva il piano terra con salotto, cucina e un bagno. Delle scale che portava ai due piani superiori, dove c’era la camera di Sasha, quelle dei suoi fratelli, un altro bagno e la camera da letto del padre. Delle piccole scalinate portavano al terzo e ultimo piano, che comprendeva un'altra camera da letto, utilizzata dalla madre perché non sopportava il russare del marito.
Mentre Sasha salì in camera sua per mettersi la divisa, Hikaru ne approfittò per prendere dalla cesta della frutta una mela, l’addentó e in meno di due minuti la finì. Non rimase nulla se non il torsolo. Visto che di Sasha non c’era traccia, perché era risaputo che ci mettesse un'eternità a cambiarsi, anzi, a fare qualsiasi cosa, decise di precederla e, passando dalla porta scorrevole si diresse al giardino sul retro. Sasha salì in camera e, oltre a cambiarsi, si apprestò a recuperare il borsone già pronto, una mazza con pallina e guantone. Corse di sotto, raggiungendo subito l’amica. Andava fiera della sua velocità. Molte volte, grazie ai suoi riflessi, riusciva ad arrivare alla base quando l’avversario stava per prendere la palla.
Lanciò il guantone a Hikaru, che se lo mise, sospirando: avevano due mani differenti e quindi alla ragazza il guanto di Sasha non entrava del tutto, ma non disse niente, sicuramente era meglio che prendere la palla senza. Una brezza calda si alzò, facendo arrivare ad Hikaru i suoi stessi capelli in faccia, così decise di raccoglierli in una coda alta che le arrivava poco sopra al collo, Sasha questo problema non se lo poneva perché aveva i capelli corti.
Le due ragazze passarono dunque una buona ora a colpire la palla, prenderla e ritirarla. Sasha non aveva intenzione di fermarsi fino all'ultimo, faceva sempre così quando c'era una partita. Quando fu finalmente soddisfatta di quel allenamento si fermarono.
«Posso andare per prima a lavarmi?» Domandò Hikaru, buttando il guantone su una delle sedie che c’era appena fuori dall’entrata che dava al giardino e si asciugò il viso imperlato di sudore con il dorso della mano.
Non aveva fatto relativamente tanto, si era limitata a prendere la palla e a ritirarla all'amica, che si poteva permettere di fare lanci alti perché il muro della casa avrebbe impedito alla palla di andare oltre. Il fatto era che era lei quella sotto al sole mentre Sasha stava all'ombra.
«Sì puoi andare, ma fai veloce» Disse lei, sapendo perché le avesse chiesto di andare per prima, era conscia del suo essere una lumaca a fare tutto che non fosse correre e che, a differenza sua, Hikaru ci avrebbe impiegato una decina di minuti al massimo.
Hikaru prese così i vestiti che aveva messo nello zaino e si diresse al piano superiore a farsi una doccia veloce.
Il bagno, a differenza del salotto e della maggior parte della casa, era di un bel rosso sgargiante, la doccia e la vasca erano attaccate ma divise dal vetro del box doccia. Hikaru dopo dieci minuti aveva finito e così lasciò campo libero a Sasha e si diresse in camera di quest'ultima per vestirsi: amava i capi eleganti, non importava in quale situazione si fosse trovata, lei si sarebbe sempre vestita così e per l'occasione decise di mettersi un dolce vita nero a maniche lunghe aderente che avrebbe messo dentro a dei pantaloni a zampa sempre neri e, per concludere, degli stivali con zeppa che l'alzavano di più. Aveva pure preso il phon dal bagno per asciugarsi i capelli.
Sasha finì sorprendentemente in fretta, ci aveva impiegato "solo" mezz'ora. Decise di indossare una semplice maglia bianca a maniche corte abbastanza aderente che faceva intravedere il reggiseno, e arrivava poco sopra l’ombelico e dei semplici cargo a vita bassa verdognoli leggermente larghi che mostravano gli obliqui della ragazza e teneva al collo delle cuffie bluetooth nere. Concludendo poi con delle everlast alte, bianche e nere. Hikaru sinceramente non capiva il senso di farsi una doccia se tanto dopo avrebbe nuovamente sudato il doppio.

Scesero dal treno, la stazione distava a poco meno di una decina di minuti da casa di Hikaru, alla fine ci dovevano passare, ma solo per far lasciare lo zaino. Dopo altri minuti di camminata raggiunsero finalmente il palazzetto in cui si teneva la partita, erano leggermente in ritardo quindi Sasha filò negli spogliatoi mentre alcune sue compagne già uscivano per andare in campo a riscaldarsi. Hikaru andò verso le tribune. Era una bellissima giornata per una partita: i tifosi, erano persone a caso ma anche amici o parenti delle giocatrici.
Stavano ridendo e scherzando tra di loro mentre mangiavano qualcosa. Notando che mancava ormai poco all'inizio della partita e che quindi si stava facendo tardi, Hikaru decise di raggiungere Sasha per controllare a che punto fosse.
fece per aprire la porta ma questa si aprì da sola quando le ultime compagne di squadra uscirono e Hikaru entrò. Sasha doveva ancora cambiarsi, l'albina sbarrò gli occhi notandola ancora vestita e non in divisa.
«Sul serio? Sono ormai tutte in campo, dovresti essere anche tu lì, forza cambiati»
Sasha stava per replicare, ma furono interrotte da un leggero terremoto e le luci saltarono. Quando il tremore finalmente cessò, si guardarono all'unisono e decisero di uscire per andare a controllare che non fosse successo niente di grave e, nel mentre che correvano dagli spogliatoi al campo, Sasha stava già pensando a qualche scusa da usare per il fatto che non si fosse ancora cambiata. Ma, quando arrivarono lì, rimasero senza parole. L'intero stadio era vuoto. Un silenzio assordante faceva ronzare le orecchie, non c’era più nessuno. Era come se tutti al campo avessero fatto Poof. Hikaru sbatté più volte le palpebre, come se avesse qualcosa negli occhi. Come se fosse quello a non farle vedere nessuno. Sasha, d'altro canto, corse in mezzo al campo guardando gli spalti, cercando anche una sola persona.
«HEY! C'È NESSUNO!?» Urlò la ragazza, portandosi le mani ai lati della bocca come amplificatori.
La prima cosa che fecero fu chiamare i loro genitori ma non c'era campo, nessuno rispondeva.
«Usciamo di qui e andiamo» Disse Hikaru, che nel mentre aveva raggiunto Sasha in mezzo al campo mettendole una mano sulla spalla guardinga.
Uscirono e il senso di terrore e angoscia che fino a poco fa giaceva nello stomaco iniziò a salire alla gola, facendo agitare l’intero corpo. Vuota. Tokyo era completamente vuota. Non solo le persone nello stadio ma quelle dell’intera città erano sparite. Volendo fare chiarezza sulla faccenda le due ragazze decisero di andare a fare un giro per esplorare meglio i dintorni lasciando da parte le sensazioni negative che partivano dai capelli e finivano alle punte dei piedi. Le macchine erano lasciate lì, in mezzo alla strada. Sembrava che un black out avesse colpito l'intera Tokyo, se non tutto il Giappone. Non c'era corrente: i cartelloni pubblicitari affissi ai grattacieli, i semafori e le porte automatiche dei negozi non si aprivano.
«Che succede? Perché non c'è corrente? Dove sono tutti? Ma che cazzo sta succedendo?» Domandò Sasha velocemente, come se Hikaru avesse le risposte.
«Se lo sapessi sicuramente non saremmo qui, continuiamo a guardarci in giro, anche se non so se troveremo delle risposte»
Hikaru cercava di mantenere la calma. Anche lei era angosciata dalla situazione, ma disperarsi non avrebbe di certo aiutato. Si impose dunque di far tornare giù le paure e i timori nonostante questi vagavano nel suo stomaco solleticandolo. Le due erano l’esatto opposto. Se una agiva d'impulso, l’altra preferiva fermarsi a pensare alla soluzione migliore. In conclusione se erano d’accordo su qualcosa significava che era grave.

Ormai si era fatta sera, fortunatamente era estate e quindi il sole non tramontava subito.
Nonostante il contesto nel quale si trovavano lo stomaco brontolante le fece dirigere verso il negozio più vicino. Dopo tutto avevano mangiato poco: Sasha solamente un ghiacciolo e Hikaru, oltre a quello, una mela, ma non bastavano certo per riempire lo stomaco. Tokyo era vuota e non c’era elettricità. L’unico modo per entrarvi fu spaccare con un sasso la porta automatica in vetro. Anche se si sentivano delle criminali per averla rotta ed essere entrare in quel modo, presero su qualcosa di già confezionato, non avendo nessun modo di cuocerlo vista l’assenza di elettricità.
Si era ormai fatta sera, Hikaru e Sasha erano sedute su una panchina, o meglio, Hikaru era seduta in silenzio a mangiare mentre cercava una soluzione, una risposta a tutto ciò. Sasha invece stava camminando freneticamente avanti e indietro facendo cadere i pezzi di cibo per terra. Ormai si erano arrese dal cercare qualcuno, o qualcosa, che avrebbe potuto dar loro una spiegazione plausibile a tutto ciò. Ma proprio quando pensavano di non avere più speranza un edificio si illuminò, il primo segno di elettricità dopo ore. Era illuminato di bianco con solo una scritta al centro nera che pregava i “giocatori” di recarsi al “game”, con tanto di freccia che indicava la direzione.
«Magari a questo game troviamo delle risposte» Disse Hikaru più a se stessa che a Sasha.
Finì di mangiare buttando giù il boccone con dell’acqua. Si alzò dalla panchina e gettò nel cestino la cartaccia. Non dovette nemmeno dire a Sasha di andare, perché quest’ultima era già partita in quarta. L’angoscia e l’irrequietezza assopite fino a quel momento stavano tornando più forti di prima, facendole rimpiangere di aver messo qualcosa sotto i denti.
Seguirono la direzione che la freccia indicava e, finalmente, dopo ore ecco lì davanti a loro le prime persone.

what the fuck is going on? // Alice in Borderland Where stories live. Discover now