Una normale giornata di lavoro

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"Bravo Aleksej", mi disse Vanya mentre sbattevamo in cella Ivan, uno dei capi dei ribelli che cercava con tutte le sue forze di ristabilire un ipotetico ordine antico. Un fanatico che predicava di leggende di un lontanissimo passato: repubbliche, tecnologie, dell'esistenza di altri animali oltre gli insetti! Per fortuna ne erano rimasti davvero pochi come lui.

"Verrai giudicato per i tuoi crimini contro l'Impero e contro l'Imperatore stesso", gli dissi chiudendogli a chiave le sbarre di ferro in faccia. "Non c'è posto qui per estremisti come te!" 

"Giudicato?" continuava a parlare Ivan dopo che gli avevo già voltato le spalle per andarmene, il suo tono era rabbioso, ma potevo sentire delle lacrime bagnargli il viso. "Volete forse dire giustiziato! Perché è questo che voi fate! Dite di voler mantenere la pace, ma la verità è che amate il potere. Volete controllarci tutti! Uccidete chiunque abbia un minimo di libertà di pensiero! Non è pace se si è costretti a subire!" 

Mi fermai, gli puntai i miei occhi azzurri addosso, ritenuti rari di questi tempi: Ivan era patetico lì in ginocchio, con le mani aggrappate alle sbarre di ferro arrugginito, la consapevolezza crescente che a breve sarebbe morto. Potevo leggergli la paura negli occhi - quante volte l'avevo già vista - ma non mi sarei lasciato impietosire.

Ero il migliore soldato della guardia privata dell'Imperatore per un motivo in particolare: non solo ero il più competente nel mio lavoro, ma non avevo alcuna pietà.

"Per mantenere l'equilibrio bisogna eliminare chi lo minaccia!" uscii dalle segrete con Vanya, le urla di Ivan mi perseguitarono fino all'uscita senza che potessero riscuotere successo.

Quella sera c'era una gran festa a corte, il castello dell'Imperatore era gremito di invitati: ambasciatori provenienti da tutto il paese, personaggi illustri, plotoni di soldati da omaggiare, noi della guardia privata dell'Imperatore che dovevamo...

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Quella sera c'era una gran festa a corte, il castello dell'Imperatore era gremito di invitati: ambasciatori provenienti da tutto il paese, personaggi illustri, plotoni di soldati da omaggiare, noi della guardia privata dell'Imperatore che dovevamo essere sempre presenti per evitare attentati o altri problemi.

Tutti erano vestiti in modo ricercato e con colori brillanti, tutti eccetto noi soldati: indossavamo le nostre tipiche divise verde militare, sempre, come anche a casa e fuori servizio. Vivevamo solo per servire.

Candelabri dorati e pieni di candele accese illuminavano l'immensa sala, frutti e ortaggi vari erano serviti su vassoi d'argento su delle lunghe tavolate di legno pregiato. I servitori porgevano a chiunque volesse mangiare un piattino argentato e vi adagiavano sopra ciò che veniva loro richiesto: gli spicchi di mela andavano a ruba. I servitori indossavano delle semplici divise bianche, impersonali proprio come loro e non proferivano parola, avevano ricevuto l'ordine di tacere e non rivolgersi a coloro che erano di rango superiore.

Si festeggiavano tremila anni di pace, tremila anni dalla nascita dell'Impero. Una pace guadagnata con grandi sacrifici e sangue, e che ancora oggi cercavamo di preservare al massimo delle nostre capacità.

L'atmosfera era radiosa e leggera, ma io ero sempre all'erta, non mi toccavano tutte queste emozioni. Vigile al mio posto fui presto avvicinato dall'Imperatore stesso. Indossava una lunga tunica nera con delle maniche larghe. Mi inginocchiai dinanzi a lui, ma mi fu subito chiesto di rimettermi in piedi.

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