La fine

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Trovammo l'edificio, quello con quei due pezzi di ferro arrugginito incrociati che veniva chiamata croce. Attraversammo quel luogo pieno di case costruite con un materiale che non conoscevo: era duro come la roccia, ma non pareva fatto di questo materiale. 

La Chiesa si trovava in alto, come ci aveva detto lo Spagnolo, era più grande e vistosa delle altre abitazioni. Bussai all'imponente porta di legno antico. Volevo essere educato, dopo tutta quella strada e la diffidenza accumulata nel cammino. Non ero certo che saremmo stati i benvenuti lì.

Qualcuno ci invitò a entrare, l'interno di quella abitazione chiamata Chiesa era immenso, c'erano tante panche vuote disposte in ordine e rivolte verso un'altra croce. Non riuscii a capirne il motivo, ma quel luogo mi donò uno strano senso di pace. Notai che era lo stesso per i miei parenti. Mia madre sorrise come se avesse trovato una serenità mai raggiunta in tutta la vita. Persino Vasilii che stava tanto male, sembrò improvvisamente rinsanirsi. 

"Eccomi", disse un uomo tarchiato e dai capelli brizzolati raccolti in una lunga treccia. "Lo Spagnolo ha mandato gli ultimi semiumani? Siamo pronti per partire, sì! Devo solo caricare alcune cose. Mi aiutate sì? Oh..." ci lanciò uno sguardo allarmato mentre ci si piazzò davanti, aveva un alito fetido e le mani rugose. "Siete mal ridotti! Per fortuna mio padre era un curatore, ho appreso molto da lui! Vi aiuterò, potete star certi! Oh, finalmente anch'io lascerò questa terra maledetta."

"Quindi l'isola esiste sul serio!" Svetozar sembrò riacquistare la speranza, i suoi occhi si illuminarono e vidi spuntare il primo sorriso sincero sul suo viso.

"Fareste meglio a riposare un attimo e a rifocillarvi. Siete stanchi, partiremo domani mattina!" ci spiegò l'uomo. 

Mi imposi a lui, non potevamo aspettare: i soldati erano dietro di noi e se avessero costretto Lo Spagnolo a velocizzare il viaggio - come aveva fatto con noi - questi ci avrebbero raggiunto subito. 

Avrei dovuto ucciderlo, ne ero convinto. Ma non ero più quello di un tempo, non volevo più esserlo. E non volevo mostrare il mostro che ero diventato a mia madre. Solo lei mi vedeva ancora come un ragazzino innocente. Non sapeva come fossi cambiato dopo il reclutamento. Non aveva visto cosa ero disposto a fare per essere il migliore, per essere lodato e premiato, per combattere per quello in cui mi avevano imposto di credere. Era il mio ego che lusingavo con le mie brutali azioni, tutto in un nome di una pace irreale.

"Allora, partiremo stasera. Curerò questo ragazzo sulla nave", l'uomo mi poggiò una mano sulla spalla con fare amichevole, non lasciò che le mie minacce lo turbassero, anzi, era tranquillo.

Era ormai giunto il crepuscolo, il sole che spariva dietro la chiesa colorava il cielo di un rosa inteso, persino l'acqua dell'oceano pareva assumere una tonalità allegra

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Era ormai giunto il crepuscolo, il sole che spariva dietro la chiesa colorava il cielo di un rosa inteso, persino l'acqua dell'oceano pareva assumere una tonalità allegra. Pensai che a Vanya, uno spettacolo del genere, sarebbe piaciuto: il mio compagno aveva sempre apprezzato la bellezza della natura. Solo in quel momento, mi concessi anch'io di ammirare quello splendore, proprio come avrebbe fatto lui.

Ero di guardia su per le stradine dell'antico paesino - così lo chiamava l'uomo con la treccia - i miei sensi erano in all'erta. Continuavo a fissare la via d'asfalto da dove eravamo spuntati solo poche ore prima, osservavo i rami frondosi degli alberi assicurandomi che fosse la brezza a spostarli e non altro.

Mia madre, la piccola Zora e Vasilii erano già a bordo, Svetozar caricava le ultime provviste insieme all'uomo con la treccia.

"Ragazzi", ci chiamò l'uomo. "Dobbiamo andare, è ora! Diciamo addio per sempre a questo posto per raggiungere il luogo di pace eterna."

Fu lì che accadde tutto in un attimo: una delle case crollò come fosse esplosa. Erano arrivati. Stavano facendo saltare un'abitazione alla volta, volevano stanarci. 

"Andate presto! Partite!" ordinai loro.

Svetozar mi guardò avvilito, capì subito: fin dall'inizio ero conscio del fatto che io non sarei mai andato via con loro. Io non avevo mai cercato la salvezza per me stesso. Mio fratello mi abbracciò dicendomi addio e corse giù per la stradina insieme al curatore, attenti a non farsi notare.

La mia missione era salvare la mia famiglia, avrei dato la mia vita per portarla a termine con successo. Io non fallivo mai. 

Uscii allo scoperto, facendomi inseguire dai soldati, nella direzione opposta. Raggiunsi il bosco e mi misi a correre lungo il fiume, l'acqua penetrava nei miei stivali logori, ma non mi importava. Li sentivo dietro di me. Urlavano di averne trovato uno. Qualcuno ordinava di prendermi.

Salii ancora più su, potevo sentire dal rumore dei passi e dei rami spezzati che non erano molto distanti da me. Erano solo pochi metri quelli che ci separavano. 

Colpii per sbaglio un sasso con il piede scivolando nell'acqua. Ed eccoli lì, almeno sei miei vecchi colleghi che mi accerchiavano e mi fissavano indignati dall'alto.

"Aleksej!" Nikita cercò di farmi rialzare porgendomi la mano. Matvey lo colpì allo stomaco con una gomitata facendolo piegare in due. Nikita tossì sangue in piena agonia.

"Non aiutare il traditore!" parlò Matvey spostando di nuovo il suo freddo sguardo su di me. "Proprio non riusciamo a capire! Che ti è preso, eh?"

Nikita, dopo un altro colpo di tosse, riprese la posizione eretta e tornò il solito uomo tutto di un pezzo di sempre: "Abbiamo l'ordine di portarti vivo dall'Imperatore. Vuole sentire con le sue stesse orecchie il motivo della tua diserzione! Ora", e si guardò intorno, il rumore delle esplosioni aumentava. Stavano distruggendo tutto il paese abbandonato da millenni. 

Matvey prese la parola dopo avermi mollato un pugno in faccia: "Dove sono i semiumani?"

Non risposi, mi limitai a ridere di gusto. Con la coda dell'occhio, vidi che la nave si stava facendo via via più piccola all'orizzonte. Erano salvi. La mia missione era terminata, l'ultima della mia vita. Estrassi una lama dalla mia cintura e me la conficcai nella pancia. 

I sei iniziarono a strillare: alcuni erano arrabbiati, altri sconvolti. Io ero più sereno che mai. Avevo fede che la mia famiglia approdasse all'isola sana e salva. Sarebbero stati al sicuro per sempre tra i loro simili. Per quanto riguardava me: avrei ritrovato Vanya - ovunque sarei finito - e avrei passato l'eternità a cercare il suo perdono; avrei trovato il mio più caro amico e non me ne sarei mai più separato.

FINE

Nota dell'autrice: Siamo giunti alla fine

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Nota dell'autrice: Siamo giunti alla fine. Molto triste come finale, lo so. Penserete anche che non faccio bei sogni la notte, ed è vero. E questo era anche uno di quelli più tranquilli, pensate. 

Tornando a noi, spero che la storia vi sia piaciuta. Lasciate un commento e una stellina se vi va, mi fa piacere. 

Solo un appunto: mi ero svegliata quando Aleksej cadeva nel fiume, il finale l'ho dovuto aggiungere di mio e questo mi sembrava il più adatto. Grazie per essere arrivati fin qui e buona giornata a tutti!

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