DODICI

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Tommy è andato a casa.

Valeria pure, è rientrato cricca ed è stata l'unica notizia negli ultimi giorni a farmi spuntare il sorriso.

Maddalena, NDG e wax hanno vinto le loro sfide.

Quella di Samu dovrà aspettare un'altra settimana.

Ho dentro di me sentimenti contrastanti, vorrei essere contenta e congratularmi con loro, vorrei essere pronta a consolare Samu la la verità è che la rabbia che provo prevale su tutto e non mi permette di guardarli in faccia.

Così, quando dopo la puntata noi ragazzi non coinvolti ci ritroviamo nella sala relax a parlare, mi dissocio dalla conversazione. Non capisco tutti questi discorsi, queste frecciatine, vorrei solo che tutti stessero zitti e ognuno si facesse i cazzi propri una volta tanto. Faccio lo stesso anche quando ce li troviamo davanti in casetta, dopo giorni separati. Tutti urlano, parlano, Angelina è davvero arrabbiata, come gli altri. Io invece non apro bocca, e i miei occhi restano puntati sulle mie mani, giocando a tirarmi le pellicine. Si scusano, ritirano le cose dette in quei filmati sullo stare solo fra di loro, ma non alzo lo sguardo.

«senso di colpa?»

«sì, voglio restare da solo.» Alle parole di Wax posso solo alzarmi e andarmene, in bilico fra lo scoppiare a piangere e ridergli in faccia.

«Caro!» La voce di Maddy è inconfondibile eppure non mi giro, non mi fermo, procedo spedita verso la mia stanza per prendere le cose e andare verso lo studio, sbattendo la porta dietro di me.

Mi infilo in una saletta vuota, lo sono tutte dato che i miei compagni sono tutti in casetta a parlare, iniziando a riscaldarmi alla sbarra. Voglio mettere le scarpette e spegnere la mente, come ho sempre fatto quando litigavo con mia madre. Solo che in quel caso era difficile scappare via da lei in una sala, visto che la scuola era sua.

«Caro.» la voce di Maria mi riscuote. Sobbalzo.

«Ciao.» Un saluto troppo pacato per me, che sono sempre così allegra e espansiva.

«Che stai facendo? Perché non sei con gli altri?» Sospira.

«Perché non mi interessa quello che dicono, quello che fanno, se stanno con noi o meno, non mi interessa.» Digrigno i denti, sentendo la rabbia che ancora una volta monta dentro di me.

«Loro chi?»

«Maddy, Samu, Nico... Wax»

«Non ti interessa di cosa fanno questi quattro, o di cosa fa wax?» Colpisce dritta al centro del mio stomaco.

«Cioè?» Faccio finta di niente. 

«Cioè che un po' ti conosco e mi sembra tu sia arrabbiata più con lui che con-»

«Non sono arrabbiata.» La interrompo.

«E allora cosa sei?» La posso sentire sorridere dall'altra parte del microfono. Resto in silenzio, pesando e misurando le parole, non sono ancora certa di cosa prova.

«niente, immagino.» La sala cala nuovamente nel silenzio, Maria non risponde. Aspetto invano che lei dica qualcosa, ma sembra non voglia farlo. Sembra piuttosto che stia attendendo che io dica qualcosa, qualcos'altro. «Mi fidavo di lui.» La mia voce si spezza mentre le confesso quelle parole, ma mordo il labbro inferiore e mi trattengo.

«Ora va meglio. Adesso, quindi, cosa sei?»

«Delusa.» Sputo fuori. «Sai, non sono sempre stata una ragazza così espansiva ed estroversa, al contrario. Sono cresciuta chiusa in sale da ballo, le mie uniche amiche erano le punte, mia madre pensava che uscire con le amiche fosse un inutile distrazione, così non andavo nemmeno ai compleanni dei miei compagni di classe. Ero sempre dannatamente sola, solo con i miei genitori, per questo sono così legata a mio padre. Mia madre mi considerava, lo fa ancora, un pezzo di pongo da modellare a suo piacimento, per farmi diventare ciò che lei non poteva essere. Voleva che io diventassi un'etoile, così quando arrivò la proposta da Parigi, era estremamente soddisfatta. Più di se, che di me stessa, per ciò che lei aveva creato. Fu la prima volta che mi abbracciò, da quanto posso ricordare.» Sorrido, fu la prima e ultima volta che la vidi contenta per me, grazie a me.

«E poi?» Mi risveglia Maria. «Poi cos'è successo?»

«Sono partita per la Francia, da sola. All' Accademia io parlavo inglese, ma gli insegnanti erano tutti francesi, e non si abbassavano di certo a parlare inglese per me, così in poco ho iniziato a imparare la lingua. Erano severi, mai come mia madre, ma lo erano. Gli altri ballerini non volevano di certo fare amicizia, erano lì per ballare e solamente ballare. Ho passato le giornate più sole della mia vita, rimpiangendo lo sguardo freddo di mia madre perché almeno lì, sapevo che tornata a casa ci sarebbe stato il dolce e caldo sorriso di mio padre. A Parigi ero sola, sola come non lo ero mai stata. C'ero solo io e, per la prima volta, non c'era nemmeno la danza. Facevo lezione tutti i giorni, tutto il giorno. Soffrivo emotivamente e fisicamente. Nei momenti in cui non ero in sala ero felice. Felice di non star ballando, ed era una sensazione che non avevo mai provato e, soprattutto, che odiavo. Io vivevo per la danza, la amavo, avrei fatto tutto per lei. Ma due anni in quel luogo, mi avevano spenta, mi avevano fatto dimenticare cosa significa emozionarsi ballando.» gli occhi mi diventano lucidi, al ricordo delle terribili sensazioni che Parigi mi rievoca.

«Quindi sei tornata qui?»

«Già.» Sospiro, abbasso gli occhi. «Dopo due anni la borsa di studio terminò, chiamarono i miei genitori perché mi venissero a prendere e io non capivo, sarei potuta tornare da sola, ero già grande. Non era per quello, in realtà. Ci misero seduti tutti e tre nell'ufficio di non so chi, ma aveva l'aria di essere molto importante. Chiese che restassi a Parigi, che entrassi nel corpo di ballo, che diventassi una vera ballerina. Mia madre era così emozionata, non stava più nella pelle, avrebbe voluto baciarlo da quanto era contenta. Era già pronta a dire di sì, ma mio padre mi guardò e i miei occhi parlavano da soli. Dissi che non volevo, che volevo tornare a casa, che quello non era il mio posto. Litigammo, tanto, forte. Mio padre era dalla mia parte pur a costo di perdere sua moglie, era arrivato al limite. Ero maggiorenne, così l'ultima parola era mia. Rifiutai. Non l'avevo mai vista così delusa da me.» stringo i denti, a ripensare allo sguardo nei suoi occhi quando non firmai il contratto, avrebbe voluto uccidermi lì.

«Hai fatto la cosa giusta, se era quello che volevi.» Provò a consolarmi. «Qui dentro brilli Caro, hai una luce tua, sei meravigliosa quando balli-»

«Poi lei ha chiesto il divorzio.» Interrompo il suo tentativo, immersa nel mio racconto. «E mio padre era d'accordo, si sono lasciati, per colpa mia. Ho fatto finire la storia di un grande amore, per un capriccio.» Una lacrime solca la mia guancia.

«Non è solamente un capriccio. È la tua vita, la tua carriera. Non devi mai fare qualcosa che non vuoi, per gli altri. Sarebbe finita anche se non avessi rifiutato, per un motivo o per l'altro, non è colpa tua, il destino voleva così.» Annuisco, anche se non sono convinta.

«E ora eccomi qua, ad amici. Qui mi sono promessa di essere amica di tutti, di essere me stessa, allegra, solare, gentile. Di far uscire quella parte luminosa che per anni è stata sopressa.»

«E ci stai riuscendo.»

«Grazie a te, Maria.» sorrido.

«E allora wax?» gira il dito nella piaga, quando io l'avevo già messo da parte.

«Lui è così chiuso, a tratti timido, freddo, sta sempre sulle sue. Non mi voleva parlare, ne conoscere, non voleva schiudere quell'armatura. Ma io volevo entrare, volevo buttarla giù e vedere cosa c'è dietro. L'ho fatto a fatica, in parte, e ho visto che dentro c'era un mondo enorme e bellissimo, un mondo puro. Ho visto che c'era molto di più di quello che voleva mostrare, ma inizio a chiedermi se quel mondo che ho visto, non fosse tutta una mia fantasia.»

@carolina.ramirez

caro!turn turn turn #amici22

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Platonic soulmates | WAXWhere stories live. Discover now