Capitolo II

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Una giovane donna mi fissa con aria apprensiva.

Ha un bel viso tondo, la pelle molto chiara, grandi occhi neri e capelli corti e scuri che porta raccolti in una coda. Un piccolo ciuffetto ribelle resta fuori e lei in un istante lo raccoglie spostandolo dietro l'orecchio, poi mi sorride dolcemente. Porta un abbondante strato di trucco, quello che mi colpisce più di tutto è il lucidalabbra brillante di colore rosa acceso.

«Ciao, Giulia, riesci a sentirmi?» mi domanda.
Non rispondo, né mi muovo. Mi sento totalmente confusa e frastornata. Dove mi trovo? E chi è la donna che ho di fronte?

«Non devi rispondermi subito» dice ancora lei con voce calma e gentile. «Prenditi del tempo. Io mi chiamo Roberta e sono un'infermiera. Non vedevo l'ora che ti svegliassi per conoscerti finalmente di persona.»

Di nuovo, non rispondo nulla. Mi sento più disorientata che mai. Vorrei alzarmi, ma ho come la sensazione che il mio corpo sia improvvisamente divenuto troppo pesante.
Vorrei provare a dire qualcosa, vorrei chiederle dove mi trovo, ma ho la bocca totalmente secca e non riesco a proferir parola.

Inizio allora a guardarmi intorno, ma non riesco a vedere molto oltre al soffitto della stanza in cui sono, quindi, per un istante mi ritrovo a fissare una grande superficie bianca ricoperta di pannelli di linoleum illuminati, di tanto in tanto, da luci al neon.

Guardo di nuovo la donna di fronte a me, lei non ha smesso di osservarmi, adesso mi fissa con aria tenera e quasi sollevata.

«Un dottore sta arrivando a visitarti, stai tranquilla,» dice notando che ho puntato lo sguardo nel suo, per cercare spiegazioni a quanto sta accadendo. Mi accarezza delicatamente i capelli, mentre io avverto una lacrima scendere e rigare lentamente la mia gota sinistra.

Quindi mi trovo in ospedale. Ma come ci sono finita?

Cerco velocemente di capire se ho qualcosa di rotto, ma non mi sembra. Avverto solo di non avere il totale controllo del mio corpo. Di nuovo, provo a sollevare le spalle per alzarmi, ma ogni mio muscolo è come intorpidito e quindi non riesco nell'intento.

«È normale che tu non riesca a muoverti, non preoccuparti» spiega Roberta che deve intuire cosa sto provando a fare, «ed è normale anche che ti senta confusa. Con un po' di tempo ogni cosa ritornerà al suo posto, vedrai.»

Subito dopo si avvicina ancora di più e inizia ad armeggiare con il mio letto, sollevandone pian piano lo schienale fino a che non mi ritrovo quasi del tutto seduta. Inizio ad esaminare la stanza, è piuttosto anonima, con pochissimi elementi di arredo e nessun altro letto. Noto un mazzo di girasoli vicino alla finestra. Guardandoli, provo un lieve senso di fastidio. Non mi arriva il loro profumo, semplicemente sapere che sono qui nella stanza mi irrita, anche se non ne comprendo il motivo.

Riprendo a guardare Roberta, la sua spiegazione, seppur in qualche modo rassicurante, non riesce nell'obiettivo di farmi stare meglio. Ho tante, troppe domande e non vedo l'ora che qualcuno mi spieghi cosa è successo, come mai mi ritrovo in questo letto d'ospedale.

Mi torna in mente l'affascinante sconosciuto dell'aereo. Ecco perché non è più tornato: si è trattato di un sogno. Un lungo e bellissimo sogno. Ora comprendo perché durante le nostre conversazioni non gli è venuto in mente di chiedermi come mi chiamo: per definizione, un sogno è qualcosa di inconsistente, motivo per cui lo sconosciuto non aveva bisogno di sapere una simile informazione.

D'istinto inizio a ridere, più che altro abbozzo un sorriso piegando piano gli angoli della bocca... Peccato sia stato tutto un sogno, non sarebbe stato affatto male incontrare un così bel ragazzo anche nella realtà.

Roberta, notando la mia espressione, mi sorride a sua volta poi, con una mano, mi asciuga delicatamente la guancia che un attimo fa era stata bagnata da una lacrima.

Raccontami di meWhere stories live. Discover now