Capitolo IV

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Dalla porta entra una donna con il camice bianco, deduco si tratti di un medico.
È una bella signora di mezza età, abbastanza alta e fisicamente ben proporzionata, ha capelli scuri che le arrivano alle spalle e grandi occhi castani che si intravedono dietro gli occhiali dalla sottile montatura nera.
Anche lei, come il dottor Moretti, porta un cartellino sopra il camice e anche stavolta cerco di leggere il suo nome prima che lei si presenti.

«Buongiorno Giulia» dice avvicinandosi subito a me, «sono la dottoressa Martelli, sono una psicologa. Ti seguirò nelle prossime settimane, se vorrai, per aiutarti a gestire serenamente la tua condizione.»

Sorrido annuendo, poi saluto la dottoressa insieme a mia sorella e ai miei genitori.
«Come ti senti?»
«Dopo lo shock iniziale meglio.»
«Mi sembri abbastanza lucida, in effetti. Non sembri confusa, né troppo turbata, per fortuna. Penso che ci aspetti un cammino tutto sommato facile.»

«Dovrà prendere dei medicinali?» Domanda a questo punto mia madre che è da sempre contraria alle cure farmacologiche, specialmente se si tratta di psicofarmaci.

«Questo è ancora da valutare» risponde la dottoressa, «per il momento somministreremo principalmente delle vitamine.»
«Riavrò i miei ricordi indietro?»
La dottoressa aspetta un po' prima di rispondere, fissandomi come se mi stesse studiando.

«Potrebbe accadere, certo. Ma dovrai essere preparata all'eventualità che invece potrebbe non accadere mai. Non è una cosa che dipenderà dalla terapia, ma dal tuo cervello. E soprattutto non ci sono tempi certi, potrebbe tornare durante la terapia, o subito dopo, oppure potrebbe non tornare affatto. Il mio compito sarà assicurarmi che tu riesca a riprendere la tua quotidianità nel modo più sereno possibile.»

Annuisco ancora, «capisco,» rispondo. Anche se in realtà speravo in una risposta diversa e più rassicurante.

«L'obiettivo principale, nel breve termine, sono una serie di analisi che ti daranno la possibilità di ritornare a casa, per riprendere la tua vita di sempre. Niente di invasivo, sto parlando di esami di routine, stai tranquilla. Successivamente, se anche tu lo riterrai necessario, fisseremo una serie di incontri volti a capire come procede il reintegro nel tuo quotidiano.»

«Va bene» dico.
Lei mi guarda e dopo poco si congeda, quando è sulla soglia si volta di nuovo a guardarmi.
«Giulia» mi chiama.
Mi volto nella sua direzione inarcando un sopracciglio per ascoltare cosa vuole dirmi.
«Chiamami pure Anna» dice. Sorride e lascia definitivamente la stanza.

«A quanto pare tornerò presto a casa» dico a questo punto rivolta a mia sorella, «non ci vorranno settimane, ma giorni.»
Giada sorride, mia mamma, che aveva preso posto su una sedia mentre la dottoressa Martelli era entrata in stanza a parlare con me, si alza ed inizia a battere piano le mani, presa da un'improvvisa euforia per la notizia.

«Dobbiamo andare a preparare la tua vecchia stanza!» dice guardandomi con aria emozionata.
«Abbiamo tutto il tempo per farlo, Lucia, siediti di nuovo» le dice mio padre.
«Intanto tu da stasera dovrai iniziare a togliere di mezzo tutti quei quadri che hai depositato lì ormai da due anni, Enrico!»
«Non sono semplici quadri, sono i miei capolavori, i miei figliocci.»

Mia madre non lascia passare nemmeno un secondo per replicare dando così il via ad un teatrino che ormai va avanti da mesi. Mio padre ha recentemente sviluppato una passione per la pittura e, non avendo un posto in cui dedicarsi al suo nuovo hobby, ha colonizzato la mia vecchia stanza con tele, colori e tutto il necessario per dipingere. A mia madre questa cosa non è mai andata giù, poiché sperava di trasformare la mia vecchia stanza in una piccola camera tutta sua.

Mi metto ad ascoltarli mentre li guardo con aria tenera, sebbene sia lo stesso dialogo a cui assisto ormai da tempo, tiro un sospiro di sollievo all'idea di aver rischiato di perderlo.

Raccontami di meWhere stories live. Discover now