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All'inizio mi avevano sbattuto in carcere con l'accusa di omicidio.

La cella era piccola, un buco senza finestre con uno specchio lercio sopra un lavandino ancora più sporco, una cesso e una branda con il materasso sfondato.

Per colpa di quello mi era venuto un mal di schiena insopportabile.

Sopra il letto, se così si può definire, c'era una mensola, così ci avevo attaccato la foto delle mie due piccole, Jess e Hannah, in modo che quando mi coricavo potessi vederle.

Passavo anche intere notti a fissarle e a chiedermi perché fossi lì, da solo, senza di loro.

-Muoviti Brook, é ora di cena-

Edgar, così si chiamava il carceriere, stava battendo con il manganello sulle sbarre metalliche.

La campanella che annunciava la pausa aveva suonato da circa due minuti ma io non mi ero alzato.

Non ne avevo voglia

-Sei sordo?- entrò nella cella e mi spintonò giù dalla branda.

Lo guardai, non dimostrava più di quarant'anni, aveva i capelli biondi che gli ricadevano sulle spalle, non potei guardarlo negli occhi perché, mentre mi faceva scendere le scale a calci, indossava gli occhiali da sole.

La mensa faceva schifo.

C'erano blatte che si arrampicavano su per i muri macchiati all'umidità.

-Siediti- mi ordinò Edgar dopo che il mio vassoio fu pieno di una poltiglia bianca e broccoli.

A me, come agli altri, era stato dato solamente un cucchiaio di plastica. Iniziai a mangiare, masticando a fatica quella roba gommosa senza sapore.

-Ei- mi fece cenno un uomo grosso dall'altra parte del tavolo -Sei nuovo qui?-
Annuí.

Aveva un tatuaggio sulla testa pelata, sembravano delle rose ma non riuscì bene a capirlo. -Come ti chiami?-

-Jim Brook-

-Brook? Sei quello che ha ammazzato il cognato davanti alla figlia e alla moglie?-

Ma cosa diamine voleva adesso questo qui?.

Annuí di nuovo anche se non capivo bene a cosa si riferisse

-Cos'è non sai parlare?-

Lo ignorai, continuando a mangiare quella robaccia

-Ei sto parlando con te-

si alzò e il tavolo vibrò quando fece scivolare la sedia all'indietro.

Continuai a non guardarlo, magari l'avrebbe smessa.

Mi scrollò per una spalla e per poco non caddi, era forte.

Troppo forte.

Abbassai le mani sulle ginocchia, tenendo il cucchiaio e spezzandolo, un pezzo di plastica mi tagliò il palmo.

L'altro continuava a importunarmi.

Mi alzai e in tono pacato gli dissi di farla finita.

Non mi ascoltò, mi seguí fino alla porta e mi ci spinse contro, il mio cranio rimbalzò sulla parete.

Strinsi il cucchiaio.

-Ho detto smettila- ripetei pulendomi il sangue dal naso rotto.

L'uomo si voltò di spalle.

Mossa stupida.

-Ma sentitelo."Ho detto smettila"- mi imitò fingendo di asciugarsi le lacrime come un bambino.

Alzai velocemente la mano e la parte appuntita della posta gli finí dritta nella schiena.

Del sangue scuro iniziò a colare sporcandogli l'uniforme arancione.

Si girò verso di me, stava soffrendo, glielo potevo leggere in faccia -Ma che cazzo fai- sbraitò mentre io gli saltavo addosso.

Cademmo rumorosamente atterra.

Dal pavimento si alzò uno strato di polvere.

Gli altri carcerati si alzarono per assistere all'aggressione.

Presi a pugni il suo torace mentre la plastica appuntita gli penetrava più in profondità nella carne.

-Smettila amico- disse mentre gli martellavo la faccia a suon di pugni.

Tentò perfino di alzarsi ma fallí miseramente quando, finalmente gli misi le mani al collo.

Avrei potuto romperglielo, sarebbe stato più veloce ma no.

Non era nel mio stile.

Strinsi più forte.

Il suo viso diventò rosso poi viola, la saliva gli sporcava il mento mentre lentamente soffocava.

Era una bella sensazione.

Sentire sotto le mie dita che la vita di quell'uomo stava abbandonando il corpo.

Lentamente.

Facendolo soffrire.

Lo lasciai solo dopo che una delle guardie, accortasi della situazione, mi buttò sul pavimento, lanciandosi sull'altro, Jason era il suo nome, ma ormai non c'era più niente da fare.

Era morto.

Io lo avevo fatto fuori.

Iniziai a ridere, la sua faccia viola mista a lacrime e bava mi faceva ridere.

Risi talmente tanto che mi fece male la pancia, avevo le lacrime agli occhi.

Avevo la mano sporca di sangue.

Usciva rapido dalle nocche sbucciate.

Risi di nuovo, più forte stavolta.

Poi arrivò Edgar, mi ammanettò e mi portò via.

Chissà dove stavo andando, non lo vedevo.

Non potevo vederlo perché le lacrime mi offuscavano la vista e per di più i miei occhiali si erano rotti.

Jason, quel bastardo me li aveva rotti.

Psycho KillerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora