16 (H&A) - Mostro il mio serpente a Hell (purtroppo non nel modo in cui pensate)

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Takane no hana (giapponese): desiderare qualcosa o qualcuno
che non si può avere;
"flower on a high peek".

— So you can drag me through hell
If it meant I could hold your hand
I will follow you
'cause I'm under your spell
And you can throw me to the flames

🔥
H E L L ' S
P O V

Io e Hurricane siamo sedute sul divano della nostra camera, quando qualcuno bussa alla porta. Lei ha un libro in grembo e io ho il pc. Sto cercando da due ore video su YouTube in cui mi spieghino concetti di matematica che non mi entrerebbero in testa neanche se intervenisse Gesù Cristo.

Sono quasi grata che qualcuno sia lì fuori e cerchi una di noi due, perché il silenzio che si è creato tra di noi dopo i giochi di Poseidon è imbarazzante e doloroso.

«Vado io,» mormora, alzandosi.

Non vedo chi c'è, perché dalla mia prospettiva Hurricane sta coprendo la figura davanti a sé. «Ciao.» Ma riconosco all'istante la voce di Ares Lively.

Hurricane si mette a braccia conserte, comunicandogli con il corpo che non ha alcuna intenzione di farlo passare. «Cosa vuoi?»

«Da te, niente. Cerco Hell.»

Per poco la saliva mi va di traverso. La mia coinquilina ci resta male, me ne accorgo anche se mi dà le spalle, perché si irrigidisce. «Be', non è in camera, al momento. Vai a cercarla in biblioteca, sarà lì.»

Lei fa per sbattere la porta, ma la mano di Ares si mette in mezzo e la afferra, bloccandola. «So che è lì. Smettila con le scenette da asilo, per cortesia.»

Diamine, certo che non gli interessa proprio andarci piano con lei.

Ares dà un colpo alla porta, facendola spalancare. Hurricane indietreggia fino a quando l'occhio di Ares non mi inquadra. Un sorrisetto gli incurva subito le labbra, ma si affretta a nasconderlo.

«Hazel, ti dispiace venire un attimo fuori? Devo parlarti.»

Sento gli occhi di Hurricane addosso mentre mi metto in piedi, un po' incerta, e cerco di non ricambiare il suo sguardo accusatorio. Prima o poi le passerà. Adesso, la ferita è ancora aperta. Un giorno, però, si risanerà. Ne sono sicura. D'altronde, Ares è un idiota. Lo avrebbe capito presto.

«Non ti sei messa il reggiseno, oggi,» commenta lui, mentre gli vado incontro.

Certo, la ferita non guarirà mai se questo deficiente non la smette di buttarci sale sopra.

Mi metto a braccia conserte per coprirmi, nonostante dentro di me mi venga voglia di ridere per l'inappropriatezza e la mancanza di tatto di questo ragazzo. «Andiamo. E che sia una cosa veloce,» borbotto prima di uscire nel corridoio.

Ares mi è subito accanto e chiude la porta alle sue spalle, poggiandola e basta. Mi fissa per qualche secondo, senza dire nulla. Quando capisco che non ha intenzione di proferire parola, sbuffo.

«Non leggo nel pensiero, sai?»

«Meno male. Tra i miei pensieri, in questo momento, troveresti cose molto imbarazzanti.»

Lo ignoro. «Allora, che succede? Cosa devi dirmi? Sto studiando, sai.»

Si adagia contro il muro, le mani nascoste dietro la schiena, e mi fissa con attenzione. «Cosa studi? Le tabelline?»

«Ares.»

«Voglio che mi insegni a nuotare,» butta fuori quasi parlandomi sopra.

Non appena pronuncia la frase, la mia bocca si spalanca. E lui abbassa il capo, come se se ne fosse pentito. O se ne vergognasse.

Game of Chaos. Redenzione Where stories live. Discover now