Capitolo 26

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Il lunedì mattina indosso la mia solita divisa. Tailleur scuro e tacchi eleganti. Afferro la mia Prada e parto a passo spedito in direzione dell'ufficio, carica per una nuova giornata.

Sento che è l'inizio di una splendida, anche se piena, settimana. E non mi importa se oggi sono in call fino alle 7 di sera. Mi sento rilassata. Ho passato un weekend rilassante, ma soddisfacente e, per la prima volta da tempo, ho avuto voglia di fare qualcosa.

La cena con Alex è stata divertente e piacevole, e sentirlo parlare delle sue mille avventure mi ha fatto capire che forse sto sprecando il mio tempo. O meglio, devo imparare a bilanciare, un po' di più prendendo esempio da lui. Se non fosse per la sporadica attrazione che ogni tanto provo per lui, non mi dispiacerebbe affatto passare più tempo insieme. E lo so che negli anni gliene ho combinate di tutti i colori, ma forse ho superato quest'odio profondo. 

Entro in ufficio sorridendo, divertita dall'idea che Alex mi possa aver insegnato qualcosa. Sento dei bisbigli mentre passo per il corridoio salutando tutti i colleghi e promettendo un caffè a Paolo, il mio collega che segue la parte di Ricerca e Sviluppo.

Quando passo davanti all'open-space della cara Matilda, non posso fare ameno di lanciarle un'occhiataccia che lei ricambia immediatamente. E sono così rilassata che non mi infastidisco nemmeno quando, qualche ora dopo, la sento parlare di me alla macchinetta del caffè.

«Mi dà i brividi. Avrà un uomo di sicuro», sta borbottando quando la sua collega le dà una gomitata dopo avermi vista arrivare con Paolo.

Non sono stupida e sanno benissimo che ho capito che stanno parlando di me, ma non faccio una piega. Le guardo in modo glaciale e le saluto con finta cordialità, per poi riprendere la conversazione con Paolo.

Il mio collega non è antipatico, ma è una persona esagerata, pomposo direi. Di solito, quando possibile, lo evito, ma mi servono alcune informazioni su un nuovo rossetto idratante ed extra resistente che secondo le nostre analisi è molto richiesto. Devo capire se ci stanno lavorando. E il modo più semplice è quello di ricordargli che siamo buoni colleghi.

Solo che lui ha due difetti. Il primo è che si lamenta di tutto, è polemico. E il secondo è che può andare avanti all'infinito. Non lo dico per esagerare, ma perché l'ho vissuto sulla mia pelle quando, ancora in stage, sono finita tra le sue grinfie e mi ha raccontato la sua vita dall'infanzia all'ingresso nel mondo del lavoro. Accompagnando il tutto con noiosissime polemiche che mi hanno prosciugata. 

Tutto il mio team lo evita quando può, ma oggi mi sento magnanima e pronta al sacrificio. Anche se quando, con un salto pindarico, ricollega la situazione lavorativa a quella di quando ha fatto il servizio militare, sento il mio sorriso incrinarsi leggermente. Io voglio solo sapere quando uscirà questo rossetto nuovo, maledizione!

Invece è da innumerevoli minuti che lo fisso in silenzio come ipnotizzata mentre fingo di ascoltarlo. Perlomeno è un bell'uomo e tutto sommato, osservarlo è piacevole. Almeno quello.  Avrei voglia di raccontare ad Alex questa situazione, si farebbe delle risate infinite. 

Non riesco a capire cosa mi stia succedendo. E' colpa di quel maledetto bacio che ha risvegliato in me tutti gli ormoni assopiti da anni di carestia. Appena chiuderemo il nostro contratto, giuro che mi iscrivo a Tinder e mi applico. Sono stata un'idiota a mettere quella clausola sul non avere relazioni, neppure fisiche, con altri perché altrimenti potrei aprire la caccia sin da subito e salvarmi da questa perenne tortura. Forse dovrei chiudere subito questo contratto con Alex, ma ogni volta che ci penso ci vedo più effetti collaterali che altro.

Quando Emma, notata la mia assenza, viene a salvarmi da Paolo che ora mi sta raccontando delle difficoltà della sua relazione coniugale, avrei voglia di stenderle un tappetto rosso davanti. 

«Diana, scusami, è arrivata una chiamata importante per te», dice interrompendoci. 

Non me lo faccio ripetere due volte e, dopo aver ringraziato Paolo, la inseguo immediatamente: «Grazie Emma!».

Rientro nel mio ufficio e mi butto a capofitto nel lavoro, pranzando davanti al pc, e immergendomi nelle mie mille call pomeridiane. Fortuna che oggi si tratta soprattutto di meeting di allineamento con il team francese e spagnolo, quindi tutto sommato non mi posso lamentare. 

O almeno, questo è il pensiero che mi accompagna fino alla telefonata con mia mamma. Il telefono inizia a squillare proprio mentre varco le porte del mio condominio, diretta verso l'ascensore. 

«Allora tesoro, come sta Alex?», esclama allegramente. 

Trattengo a fatica uno sbuffo. «Ciao mamma, io sto bene, grazie. E tu?».

«Ma certo che stai bene. Lo saprei se non fosse così. E anche noi stiamo bene.  Allora?».

Quando, anni fa, scoprii per la prima volta la signora Bennet, pensai che si trattasse di un personaggio così assurdo da non poter esistere nel mondo reale. O forse ai suoi tempi ancora ancora, ma mai avrei pensato che mia madre potesse trasformarsi in lei. 
Ho pensato che il padre di Alex fosse un retrogrado a voler insistere per far sì che lui prendesse in mano l'azienda di famiglia. Ma allora cosa devo dire di mia mamma? E' come se passasse le giornate a pensare alle mie relazioni. Posso anche capirlo, ma in ogni caso così non mi aiuta affatto. Mi fa solo stare male. 

«Allora cosa?».

«Come "allora cosa"? Voglio sapere come va con Alex e se state pensando al prossimo passo».

«Mamma», ringhio senza riuscire a trattenermi, «ci frequentiamo da poco, quindi nessun prossimo passo per il momento. Comunque sta bene». Faccio una breve pausa per scrutare la figura in piedi davanti alla porta di casa sua. Casco della moto sottobraccio, giubbino di pelle, capelli biondi spettinati. Sta molto bene direi. Magnificamente. «E' proprio qui davanti a me».

«Oh ma siete insieme! Potevi dirmelo prima, sciocchina», mi rimprovera. «Fammi parlare con lui».

E' completamente impazzita e ha raggiunto un nuovo picco di invadenza. Se Alex fosse davvero il mio uomo, penso che sprofonderei per la vergogna. Provo a declinare, ma lei non demorde, mentre il mio vicino mi scruta con interesse. 

«Vuole parlare con te», bisbiglio. Lui allunga immediatamente la mano e mi prende il telefono. 

«Signora, buonasera! Come sta? Io? Tutto bene. Sì, sua figlia è magnifica. A volte è un po' irruenta, ma d'altronde ormai ho capito che è fatta così. Eh sì». Il suo ghigno fa capolinea sul suo volto, mentre io devo trattenermi dall'intervenire. «Ma sì certo, la prossima volta che verrete a cena da Diana, parteciperò volentieri. Assolutamente. Le ripasso sua figlia? Ah, va bene. Sarà fatto. Buona serata a voi, a presto». Quando mi passa il telefono, rimango stupita nel vedere che la chiamata è stata chiusa. 

«Non c'è di che!», esclama divertito «Tesoro, se non ci fossi io».

«Li hai invitati a cena? Sai cosa vuol dire? Un'altra serata a fingere che tra noi sia tutto bellissimo». Lo dico con un bisbiglio tetro, che fa ridacchiare Alex. 

«Ormai tua madre mi adora, quindi credimi. Anche se dovessimo battibeccare, saranno solo problemi tuoi». 





Alter Ego - Quando le apparenze ingannanoWhere stories live. Discover now