Capitolo 6

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"Feel your breath on my neck
Your lips, they got me going
Heart flips, you got me floatin'
Your lips, your lips"

Lips - Marian Hill.

«Pardon?»

Adesso sì che stava morendo di vergogna. Aveva chiuso gli occhi, talmente tanto che le palpebre avevano formato delle pieghe.
Ha provato a fare dei passi indietro, ma l'ho tenuto sul posto, con la mia mano ancorata alla camicia.

«Mi... Mi dispiace.»

«Oddio, ragazzo mio, assomiglia ad un disco rotto.»

Ma non intendevo dirlo con cattiveria.
L'ho guardato, l'ho studiato, ho osservato ogni sua reazione timida e, a modo suo, dolce.
Per quanto lo guardassi, ci rivedevo te.

«Come mai?»

Mi ha guardato, finalmente, e non capiva, lo leggevo dai suoi occhi dubbiosi e confusi.

«Come mai, ho detto. Cosa le piace di me? Come fa a dire che le piaccio.»

In poco tempo, due confessioni: manco alle scuole ne ricevevo così tante di fila.
In realtà, è accaduto, sì, ho ricevuto varie lettere, nascoste negli armadietti.
Chiedevano tutte un incontro da qualche parte; magari uno dei punti più romantici dell'istituto. Ed ogni volta finiva con la sfortunata in lacrime, che correva via, le mani che coprivano il loro viso. Ed io le osservavo, le mani nelle tasche, senza provare niente.
Il mio mondo era senza colori, prima della mia relazione con Eiji.
Con lui, ho capito come mai quelle ragazze piangevano così tanto. Ho capito cosa volesse dire un rifiuto, un dover stare vicino a qualcuno che ti piace, senza poter fare nulla.
Sotto sotto, forse, stavo cercando di capire anche lui. Ma questa voglia di comprenderlo da dove è nata? Finché davanti a me c'era Yoshida, l'unica cosa che riuscivo a vedere era sua sorella che mi sorrideva, contenta per me nonostante avessi appena rifiutato la sua proposta di matrimonio - voluta dai genitori.
Ora invece rivedevo un Eiji, timido, che provava a parlare.
In tutta la mia vita, comunque, non ho mai trovato un silenzio come questo così strano. Una stranezza che non riuscivo a capire, che forse non volevo comprendere, che, col senno di poi, forse avrei dovuto ascoltare.
Stava già iniziando a parlarmi, il mio cuore, ma io ero troppo sordo per ascoltarlo.

«A tavola!»

Mai la voce di Nanami è stata più di sollievo. Nemmeno quando hanno escogitato l'idea per salvarmi dai piani dei miei genitori.
La sensazione di libertà che ha scatenato il suo suono è stato incredibile. Ero senza parole, non sapevo come descrivere il peso che era appena scomparso dalle mie spalle.
Mi sono alzato, osservandolo ancora, ammirando come la mia camicia aderiva perfettamente alle sue spalle, come copriva quella pelle bianca e quasi, proprio per colpa del colore, si mimetizzava perfettamente.

«È ora di cena. La aspettiamo giù.»

Così detto, sono uscito dalla stanza, lasciandolo lí dentro, a finire di sistemarsi, la sua confessione ancora nell'aria.

[...]

Seduto sul sedile davanti, aspettavo pazientemente.
La schiena adagiata sul morbido di quello del guidatore, le mie mani chiuse tra di sé, le chiavi nascoste dentro. Con gli occhi chiusi, attendevo, mentre il rumore ticchettante del mio orologio scandiva il tempo che passava.
Nell'abitacolo era l'unico rumore presente. La luce dell'auto si spense, lasciandomi completamente al buio, con solo quel lampione, in mezzo alla strada ad illuminare la mia figura nascosta nell'ombra.
Stavo bene, lì. Dentro l'auto, potevo tranquillamente dormire.
Ho rifiutato Tanaka, ho liquidato la sua offerta con un semplice gesto della mano, facendogli intuire che no, avrei guidato io.
Volevo riportarlo io, a casa.
Sentivo questa forte sensazione di necessità.

"C'è un errore nei miei calcoli" - BoyxBoy - [Revisionata]Where stories live. Discover now