6. Pro certo habeo

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Da bambina, Astrea aveva amato i corridoi del Palazzo. Lì c'erano luoghi che sembravano pensati apposta per giocare a nascondino e la loro successione forniva una pista perfetta per una partita di acchiapparella.

Ultimamente invece li guardava quasi con disgusto, erano diventati opprimenti. Si era chiesta il motivo di quel cambio di percezione tante volte e ognuna di queste era giunta sempre alla stessa conclusione: a Palazzo si sentiva inutile.

E quella consapevolezza l'aveva colpita come un fulmine.

Le sue giornate non si potevano definire vuote, in fondo era costantemente impegnata, ma tutte quelle attività che le costellavano erano sempre di supporto, come l'accompagnare il fratello o aiutare la madre o la zia. Eppure erano più le volte che si ritrovava a bighellonare a vuoto insieme a Emily che non quelle dove faceva qualcosa di concreto. A detta di suo padre, il lavoro era diviso equamente tra tutti loro ma alla fine erano sempre gli adulti a sobbarcarsi il carico maggiore. D'altra parte però, e queste erano ancora parole del Diavolo, la famiglia si era allargata tanto in poco tempo, tutti si ritrovavano ad avere più tempo libero rispetto anche solo a un secolo prima.

Astrea non faticava a crederci, ma allo stesso tempo sentiva di dover trovare un altro modo di vivere quelle giornate, così cominciò a maturare la convinzione di dover cercare al di fuori dell'ombra protettiva della Corte. Pensare di affrontare quella discussione con suo padre però le metteva una certa ansia, immotivata considerando che il Diavolo aveva a cuore solo il bene della figlia, però era giunta alla conclusione che fosse meglio sondare prima il terreno con la madre.

Quando le spiegò tutto la madre si limitò a commentare: «Era ora che ti decidessi a parlarne con qualcuno.»

La demone rimase stupita di quella reazione, la madre non si era scomposta di un millimetro.

«Te lo aspettavi?» Chiese quindi osservando ogni sua reazione.

«Tu ed Emily siete due anime in pena, era difficile non notarlo.» Spiegò lei con una scrollata di spalle.

«Quindi mi lasceresti andare?» Domandò con incredulità, i suoi genitori non le avevano mai negato nulla senza un motivo ma non si aspettava neanche tutta questa prontezza nell'avvallare quella decisione.

«Astrea.» Il tono della madre si era fatto più dolce, come quando era più piccola e si sedeva con lei per spiegarle perché aveva sbagliato a fare una determinata cosa. «Non ci sono motivi per cui dovrei dirti di no, è giusto cercare altrove ed è giusto volersi distaccare da noi.»

«Non è che me ne voglio andare...» Tentennò cercando le parole per spiegare ciò che provava, per fortuna la madre la conosceva tanto da sapere perfettamente cosa volesse dire.

«Ma senti di non avere uno scopo qui.»

Con sollievo, Astrea annuì aspettando che la madre dicesse altro.

«E allora cosa ti trattiene?»

«Non so se sono pronta.» Ammise infine arricciandosi una ciocca dei lunghi capelli corvini intorno all'indice. Clary la scrutò per un momento, quando la guardava in quel modo Astrea si chiedeva spesso se non riuscisse in realtà a leggerle l'anima.

«Ci sono delle cose nella vita per cui bisogna buttarsi e vedere come va. Se tu sei convinta allora fallo e poi non è che ti cacciamo se torni.»

«Dovrò parlarne con papà allora.»

E sperare che non la prenda troppo male aggiunse nella mente anche se prevedere la reazione del Diavolo era pressocché impossibile, non ci era mai riuscita in diciotto anni e non pretendeva di cominciare ora.

Fragmenta AmorisDove le storie prendono vita. Scoprilo ora