15. Fortuna mihi tete abstulit

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Lucifero

C'era qualcosa che mi dava fastidio, ci misi un po' a realizzarlo, e ci volle ancora di più perché comprendessi che quella sensazione di panico che mi aveva svegliato non era mia. Con la lentezza tipica di chi si sveglia cercai la figura minuta che era al mio fianco e la trovai preda di un sonno agitato.

Da quando la guerra era finita era raro che passasse una notte intera senza incubi, non mi parlava di cosa tornava a farle visita in quei momenti ma riuscivo a intuirlo. David le era morto davanti a e lei aveva subito una tortura psicologica lunga giorni, non ero tanto stupido da pensare che ne sarebbe uscita senza accusare traumi. Sarebbe stata una creatura senza emozioni, cosa che di certo Clary non era.

Prima che potessi fare qualsiasi cosa, la vidi aprire gli occhi di scatto, aveva il respiro accelerato e gli occhi lucidi, come se fosse sul punto di mettersi a piangere da un momento all'altro. Qualsiasi cosa le avesse fatto visita nella notte, doveva esser stato più pesante del solito. Clary saettò lo sguardo intorno a lei fino anche a posarsi su di me, ma sembrò non processare quel che stava vedendo perché ignorò qualsiasi cosa e si portò una mano al volto.

«Ehi, piccola.» La chiamai allungando il braccio verso di lei per afferrare quella stessa mano che mi celava la sua espressione e portarla ad abbassarla. «Un altro incubo?»

Clary sembrò mettermi a fuoco solo quando compii quel gesto, aveva l'espressione persa di chi si trova davanti a una cosa più grande di lei. Passarono dei secondi interminabili in cui mi fissò sembrando ancora in parte assente, poi però annuì lentamente.

«Vuoi raccontarmelo stavolta?»

Glielo chiedevo ogni volta e la domanda cadeva sempre nel vuoto.

«È David.» Bisbigliò sorprendendomi, ero già rassegnato al fatto di non ricevere risposta. Attesi di vedere se avrebbe aggiunto altro, invece lei si tirò a sedere di scatto solo per poi fermarsi e rabbrividire.

«Clary.» Provai a riportarla con la mente al presente mentre la seguivo in quel movimento, lei mi scoccò un'occhiata veloce, di quelle che ti accorgi essere troppo celeri per processare quel gli occhi registrano, e scese dal letto come se le si fosse accesa dentro una scintilla. Emulai il gesto chiedendomi cose le stesse passando per la testa ma quando fece per uscire la fermai.

«Ehy, dove stai andando in piena notte?»

Sarei andato con lei ovunque, ma non quando sembrava sul punto di rompersi.

«Ho bisogno...» Cominciò per interrompersi quando la voce le si ruppe, deglutì guardandomi come se non sapesse come spiegare quello che aveva iniziato a dire, poi pronunciò due semplici parole che spiegarono tutto. «Vicino Castagnaro.»

«Vengo con te.»

Clary ci fece apparire non troppo lontano dalle luci della civiltà, vicino a una costruzione in legno che cominciava a sembrare abbastanza vecchia. Se avessi dovuto scommettere, avrei detto che quello era il luogo dove Bloodshed l'allenava. Non il posto migliore ma di certo era funzionale, gli alberi dietro di noi ci celavano da sguardi indiscreti e il tanto spazio intorno forniva la sicurezza di non danneggiare altro che la natura e la costruzione in legno nel caso in cui qualcosa fosse sfuggito di mano.

«Non riesco a perdonarmi di averlo lasciato morire.» Il silenzio venne spezzato da Clary solo dopo interminabili minuti, tempo che passai a osservarla senza però far nulla. Aveva bisogno di processare le emozioni confuse che si portava dietro e il lutto che ancora si rifiutava di affrontare e su cui si stava aprendo per la prima volta.

«A volte, di giorno, ancora lo cerco. Credo che una parte di me lo farà sempre.» Continuò sfiorando il legno come se fosse un vecchio amico.

«Non è colpa tua.»

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⏰ Ostatnio Aktualizowane: Apr 22 ⏰

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