CAPITOLO 4

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Mentre la luce del sole di mezzogiorno si fa strada tra le foglie degli alberi del campus, mi dirigo verso il giardino. Con un senso di sollievo, scopro che le lezioni di Isolde sono già concluse per oggi.

Decidiamo di cambiare programma e invece di dirigerci alla mensa dell'università per il pranzo, scegliamo di uscire e cercare un luogo accogliente dove mangiare. Non ho il desiderio di essere circondata dal rumore delle conversazioni di innumerevoli studenti.

Una perla nascosta tra le affollate vie di Vienna è il Morgenrot. Un piccolo ristorante nascosto e isolato dal trambusto del centro città.

Appena varco la soglia, l'ambiente rustico mi avvolge. La luce del sole entra dalle grandi finestre, dando vita a un ambiente magico. Tutto qui parla, ti fa sentire a casa, i tavoli e le sedie in legno aggiungono un tocco di eleganza che va in contrasto con le travi in legno esposte. Le fotografie di una Vienna in bianco e nero adornano i mattoni delle pareti, più le guardo e più il passato sembra avvicinarsi al presente.

L'atmosfera qui è sempre rilassata e tranquilla, con musica soft in sottofondo.
Il menu del Morgenrot è vario e interessante, non servono solo piatti locali ma si dilettano anche nella preparazione di piatti internazionali. Scegliamo un tavolino all'angolo, leggermente appartato, e in pochi minuti il cameriere ci porge due Menù. Inizio a leggere attentamente ogni singolo piatto, ho voglia di pasta o voglio la carne? Sbuffo per la mia indecisione, ma vengo interrotta dalla voce del cameriere.

«Pronte per ordinare?» Isolde annuisce e ordina una semplice insalata con petto di pollo alla griglia, mentre io mi ritrovo indecisa tra due piatti. Infine, opto per un piatto di pasta al pomodoro, nulla di eclatante, ma è una delizia nella sua semplicità.

«Mi sto dedicando a un nuovo pezzo per violino» La voce squillante di Isolde risuona nell'aria.
«Non vedo l'ora di suonartelo, sono certa che ti piacerà!» Continua lei, tutta eccitata. «Sicuramente!» Dico con un sorriso, mentre il cameriere si avvicina nuovamente al tavolo con i piatti ordinati.

«Ma parliamo un po' di te, Ame. Come stai passando i tuoi primi giorni all'università?» Dice con interesse, appoggiando i gomiti sul tavolo.
«Beh, è un po' faticoso lo devo ammettere.» Confesso. «Il professore ci ha già assegnato un progetto da fare in coppia. Io sono capitata con un ragazzo, Sebastian.»
«Il nome mi suona familiare.» Isolde inclina la testa, assumendo un'espressione pensierosa.
«Cosa dovete fare esattamente?»

«Abbiamo il compito di suonare un brano insieme, unendo i nostri due strumenti. Io suono il pianoforte e lui la chitarra.» Prendo il tovagliolo e inizio a giocherellarci. «Ma sembra che lui non abbia molta voglia di collaborare. Oggi avremmo dovuto iniziare a discutere il progetto, ma mentre tutti gli altri avevano già selezionato il pezzo da suonare, lui ha deciso di lasciare l'aula. Secondo lui, il nostro lavoro era già concluso.»

«Quindi non avete ancora un brano? E quanto tempo avete a disposizione?» La mia amica sembra sorpresa alla descrizione dell'atteggiamento indifferente di Sebastian.
«Due settimane.» Esclamo. «È un tempo decisamente breve per scegliere un brano e adattarlo a due strumenti diversi, per non parlare del fatto che dovete studiarlo e imparare le note.» Sbuffa.
«Vedrò di parlare con Sebastian e farlo capire che dobbiamo assolutamente impegnarci nel progetto.»
Il nostro discorso viene interrotto dall'arrivo del cameriere, che si avvicina al nostro tavolo con i piatti ordinati.

Dopo aver mangiato, è tempo di lasciare il Morgenrot. Isolde insiste e paga il conto. Avviandoci verso l'uscita del ristorante veniamo travolte dalla brezza pomeridiana che ci accarezza il viso.

Mentre camminiamo lungo i marciapiedi di Vienna e ci dirigiamo verso l'università. Pronte per affrontare il resto della giornata. All'entrata dell'edificio principale, vedo una figura che ormai conosco. È Sebastian. Appoggiato al muro e con delle cuffiette bianche che risaltano contro i suoi capelli neri, sembra assorto in un mondo tutto suo.

La domanda mi viene spontanea, starà ascoltando le varie canzoni che serviranno al nostro progetto? In quel momento un senso di responsabilità mi colpisce, dovrei anche io ascoltare e decidere le canzoni da proporre.
Un brivido di curiosità mi percorre la schiena. Mi chiedo che genere di musica stia ascoltando.

Invece di avvicinarmi, estraggo il mio telefono dalla borsa e apro la mia lista di brani selezionati per il progetto. Prima di premere play, lancio un ultimo sguardo a Sebastian. Spero davvero che stia lavorando per trovare una canzone adeguata.

Sospiro e infilo le cuffiette nelle orecchie, premo play, e la prima canzone inizia a farsi strada. Mi allontano lentamente, lasciando Sebastian alle spalle. La prima canzone è "Bohemian Rhapsody" dei Queen, una canzone che ho sempre amato per la sua struttura complessa e le intense emozioni che suscita.

Passo poi a "The Scientist" dei Coldplay. La melodia dolente e le parole struggenti mi donano una sensazione di calma. Successivamente, decido di ascoltare un classico "Let It Be" dei Beatles. Questa canzone ha sempre esercitato su di me un effetto rassicurante. Infine, faccio partire "Clocks" dei Coldplay.
L'energia del brano e il vibrante suono del piano mi avvolgono completamente.

Il sole inizia a calare nel cielo, tingendo il campus di colori caldi e dorati. Le ombre si allungano mentre la giornata volge al termine.
I miei occhi saltano da uno studente all'altro; stavo cercando quella figura famigliare che poco prima avevo visto sulla panchina. Sebastian.

Ecco che lo vedo con le gambe incrociate e la schiena appoggiata al tronco dell'albero. Ha ancora le cuffie nelle orecchie e gli occhi chiusi. Sembra perso nella musica.

La domanda mi assale di nuovo: starà ascoltando le canzoni per il nostro progetto? In un momento di esitazione, mi chino e avvicino lentamente la mano alla sua spalla.
Lui apre gli occhi lentamente, quasi come se il mondo esterno fosse un fastidio. E i suoi occhi verdi incontrano i miei.

«Amelie.» La sua voce è calma, quasi neutra.
Resto accovacciata vicino alla sua figura.
«Ti stai preparando per il progetto?» Chiedo notando il suo telefono abbandonato sulla sua coscia sinistra. Non risponde subito. Toglie le cuffie e le lascia cadere sul prato. «Qualcosa del genere», risponde infine.

«E quale canzone stavi ascoltando?» Esprimo la mia curiosità, tentando di avviare una conversazione. Sebastian estrae il suo telefono e mi mostra il brano che stava ascoltando: "Lithium" dei Nirvana.

Lo guardo mentre si alza dal prato.
Osservo attentamente il modo in cui l'erba, appiattita dal peso del suo corpo, si raddrizza lentamente, come se stesse cercando di cancellare ogni traccia del suo passaggio.

Le sue parole «Parleremo della canzone scelta domani» si perdono nell'aria come un sussurro.
Il suo sguardo incontra il mio per un istante, prima di distogliere gli occhi e iniziare a camminare.

Nel farlo, un plettro scivola dalla tasca della sua giacca e atterra vicino al mio piede. Lo raccolgo, è di un bianco puro, con una scritta in oro che decora una delle sue facce: "Muse".

Ruoto il plettro tra le dita, promettendo a me stessa che lo restituirò a Sebastian la mattina seguente.

Con questo pensiero, metto il plettro in tasca e mi dirigo verso casa.

More Than Bruises.Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum