CAPITOLO 30

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Il pomeriggio l'ho trascorso alla stazione di polizia, dove ho denunciato e consegnato il telefono alle autorità.
I poliziotti vogliono contattare anche le altre ragazze, e Sebastian si è offerto di parlare con loro, essendo che le conosce.

Dopo questa giornata stressante, finalmente torno a casa. Voglio assolutamente iniziare a preparare la valigia e non pensare più a nulla. Sebastian si è offerto di accompagnare Elias e Mia a casa, ed è venuto da me subito dopo. «Che dovrei portare?» chiedo, guardando attentamente il mio armadio, mentre lui è seduto sul mio letto.

«Non mi hai detto nulla di questo matrimonio» dichiara, facendomi riflettere.
Mi accorgo che è la verità, lui non sapeva nulla.
«Vero, non te ne ho più parlato» mi giro e lo guardo.
«Allora, ci sarà tutta la mia famiglia, compresa mia madre» lui mi segue con attenzione.

«Mia zia è molto curiosa, quindi ti riempirà di domande» penso a tutti i parenti che verranno a chiedere ogni singola informazione sulla "nostra relazione".
«Mia madre ti presenterà a tutti, di sicuro» riporto la mia attenzione sugli abiti. «Per il resto, cerca di essere come sei stato davanti a mia madre» concludo.

Prendo un vestito bordeaux, corto fino a sopra il ginocchio e con scollo a V.
«Metto questo?» lo mostro a Sebastian, prima di prendere un altro abito. Il secondo è più delicato, con il suo colore pastello e il suo tessuto pesante risulta sia caldo che elegante. Ha uno scollo modesto, non troppo eccessivo. «Oppure è meglio questo?» chiedo sventolando in aria i due vestiti.

Lui li guarda attentamente.
«Per il matrimonio è meglio questo qui» indica l'abito color pastello. «Però...» si alza e si avvicina a me.
«Quello rosso potresti metterlo per una serata con me» sussurra con voce roca.

«Vedremo» mi allontano e lui rotea gli occhi.
«Io e te abbiamo un conto in sospeso» alzo le spalle e continuo a cacciare altri vestiti.
«Vai a farti la valigia» lo sento sbuffare.
«Quanti giorni stiamo via?» poggio un maglione sul letto e lo guardo. «Cinque».

Lui annuisce e dopo avermi salutato, se ne va, lasciandomi sola a preparare le ultime cose.

Mentre piego gli ultimi indumenti, ripenso a tutto quello che è successo. Una sensazione di tristezza mi invade.
Crollo come mai prima d'ora, chiusa tra le quattro mura della mia camera.

Mi lascio andare, le lacrime rigano il mio volto così tante volte che gli occhi mi diventano rossi.
«Perché a me, perché sono stata così stupida» mi copro gli occhi cercando di soffocare ogni singhiozzo, ma non riesco, è più forte di me.

Mi stendo sul letto e guardo il soffitto, non so quando mi sono addormentata, ma gli occhi si sono chiusi, e mi sono lasciata trasportare dal sonno.

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«Ho paura» continuo a ripetere quelle parole mentre le braccia di mia madre mi stringono.
«Mamma, ho paura che possa capitarmi di nuovo» le sue carezze arrivano delicate sulla mia testa.
«Piccola mia, non succederà più, te lo prometto» quella promessa, non è stata rispettata.
Mia madre mi ha promesso che nessun altro mi avrebbe toccata, nessun altro mi avrebbe procurato graffi sulle braccia. Eppure, ricapitò.

Le braccia sono un punto troppo visibile, meglio le gambe. Ma perché fermarsi a graffi e tagli, perché non aggiungerci anche i lividi.

I lividi sono ferite semplici, durano solo qualche giorno e non si notano. Sono più facili da nascondere, da far passare inosservati, mentre i tagli, quelli non puoi nasconderli altrettanto facilmente.

Sono stata io a infrangere la promessa.
Artefice del mio dolore.

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