Capitolo Quattro - Il Primo Nodo (terza parte)

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Narell esitò. Aveva paura di morire: inutile negarlo. Ma ciò che sarebbe successo al popolo elfico a causa della follia del loro signore lo spaventava ancora di più. Gli elfi erano stati gli ultimi a piegarsi a Ludwig il Re Santo, durante la sua guerra per unificare il regno; e tutti i Primi elfi erano stati uccisi durante terribili epurazioni. Il Sacro Concilio non avrebbe avuto pietà del Guardiano dell'Itrandiel, né della sua gente, non importava se innocente. Lord Loredian doveva essere impazzito: perché voleva ucciderlo? Neanche si conoscevano; e perché, pur di farlo, era disposto a rischiare la vita del suo popolo?

    Rassegnato, e incalzato dallo sguardo glaciale del lord itrandiano, Narell si fece coraggio ed entrò nella tenda, che era quasi completamente buia. Mosse solo qualche passo, prima di essere paralizzato da una folle consapevolezza: era già stato lì. Non sapeva come e quando, ma più rimaneva al buio a tremare più ne aveva la certezza. Nonostante fossero ancora sagome indistinte nell'oscurità, cominciò a ricordare la disposizione dei mobili sotto quel padiglione, come se li avesse già visti; ricordò una luce lattiginosa investire ogni cosa, e d'istinto si portò le mani al petto dove, durante il suo incubo della notte precedente, aveva avvertito la dolorosa fitta che l'aveva svegliato.

    Loredian lo superò. «Non c'è niente che tu possa fare. Te l'ho già detto.» Si voltò appena per guardarlo da oltre la spalla. «Se hai così paura, faresti bene a non esitare. Le cose andranno come devono: prima lo accetterai, prima smetterai di tremare come un ratto in un angolo.»

    Narell si accorse solo in quel momento di stare tremando. Era talmente spaventato da non pensare più a cosa ne sarebbe stato di lui; voleva soltanto trovare sollievo da quella paura primordiale che lo soffocava. Con il cuore in gola, seguì ancora una volta il Guardiano dell'Itrandiel, le cui parole forzarono il suo passo più di quanto avrebbe potuto fare una lama puntata alla schiena.

    Mentre avanzava, i suoi occhi si abituarono alla scarsa luce e gli permisero di vedere ciò che l'incubo della notte prima gli aveva già mostrato: un grande letto di legno, due comodini, un baule e una lunga cassettiera; e poi uno scrittoio e due tavoli, il primo coperto di pergamene arrotolate e circondato da sedie, e il secondo colmo di ampolle e strumenti medicali che scintillavano debolmente, catturando la poca luce presente sotto la tenda. Sembrava l'alloggio di un Comandante, oppure di un Capitano che si trovasse in territorio nemico. Ma l'assenza di lanterne fece pensare a Narell che fosse rimasta inutilizzata fino a quel momento, e che non appartenesse a Loredian.

    Il lord elfico si fermò poco oltre il tavolo con le pergamene, intimando a Narell di fare lo stesso. Gli indicò un punto con una mano e, senza guardarlo, gli ordinò: «Inginocchiati».

    Il ragazzo esitò, poi obbedì ancora una volta. Quando le sue ginocchia toccarono la fredda terra battuta, si accorse di uno stiletto e di un cofanetto di legno appoggiati poco distanti da lui. L'arma aveva una lama insolita, di un materiale chiaro e opaco che riconobbe quasi immediatamente: silesia, un minerale prezioso che era possibile trovare solo nelle miniere dei Traynor e dal quale la maledetta foresta in cui Narell si trovava prendeva il nome. Da sempre, la silesia adornava i gioielli e le corone dei nobili di Bersiell, ma mai nessuno l'aveva impiegata per costruire armi. Si portò di nuovo una mano al petto, con la terribile consapevolezza che era quella la lama che, durante il suo incubo, gli aveva perforato il cuore. Sto per morire, pensò, e smise di tremare o di avere paura. Non sapeva come né perché, ma aveva sognato quel luogo e la sua morte. Non si sentì paranoico o pazzo nel realizzarlo... era così e basta. Ormai ricordava tutto: la tenda scura, il cofanetto, quell'orribile lama lattiginosa. Forse erano stati gli dèi a mandargli quel sogno, oppure un antenato benevolo che aveva tentato di salvarlo... ma non era servito. Il giorno prima era inginocchiato nella sala del trono di Forte Traynor per diventare Comandante di Pietraluce; ora poggiava le ginocchia a terra, in attesa di essere giustiziato. Dentro di sé aveva sempre saputo che non sarebbe tornato a casa; l'aveva capito nel momento in cui aveva lasciato che lo attaccassero alle spalle, squarciandogli la testa e mettendolo in ginocchio. Ma non si aspettava certo di essere stato tanto stupido da ignorare un segno divino come quello.

    Una lacrima si fece strada sulla sua guancia incrostata di sangue, restituendo un po' di calore al suo viso gelido e sporco. Sperava solo che tutto ciò che gli stava succedendo servisse a qualcosa, magari a un fine più alto per lui impossibile da comprendere.

    «Non piangere, Narell Traynor.» Loredian afferrò lo stiletto con delicatezza. «Sto per concederti il più grande degli onori.» Si avvicinò al ragazzo e infilò la lama di silesia nel terreno, vicino alle sue ginocchia, poi tracciò un solco poco profondo tra Narell e il cofanetto.

    Il giovane Traynor osservò l'elfo estrarre dalla tasca interna del mantello un sacchetto di cuoio e lasciarne cadere il contenuto lungo il solco nel terreno. Sembravano piccoli frammenti di silesia, grezzi e più opachi rispetto alla lama dello stiletto. Narell ebbe la sensazione che quella fosse la preparazione di una cerimonia, o di un rituale.

    Quando il sacchetto fu vuoto, Loredian lo ripose in tasca e s'inginocchiò accanto al cofanetto. Rimase immobile per un istante, genuflesso in preghiera, poi sollevò il coperchio di legno e ne estrasse il contenuto. Adagiato su strati di morbido tessuto, c'era quello che sembrava un piccolo cuore annerito. Nonostante fosse avvizzito, più simile a un intrico di radici strette attorno a un sasso che a un cuore vero, pulsava debolmente.

    Narell riuscì a staccargli gli occhi di dosso solo quando Loredian, dopo averlo appoggiato all'estremità opposta del solco nel terreno e aver allontanato il cofanetto, tornò da lui brandendo lo stiletto.

    «Gioisci, Narell Traynor» gli disse sorridendo. «Presto monderai i peccati della tua stirpe.»

     Il ragazzo iniziò a respirare rumorosamente, il cuore che sembrava sul punto di esplodergli nel petto. Era troppo terrorizzato per tentare di fuggire o di difendersi; desiderava implorare pietà, ma non riuscì a parlare né a gridare. Altre lacrime si affollarono nei suoi occhi, distorcendo la sua vista e bagnando il suo viso.

    Loredian si inginocchiò davanti a lui, cieco al suo dolore e alla sua paura, e lo trafisse. Lentamente, quasi stringendolo in un abbraccio; pregando e infliggendogli il dolore più intenso e insopportabile che avesse mai provato.

    La silesia era gelida. Narell poteva sentirla scavare nel suo cuore, violando e straziando la sua carne. Soffrì talmente tanto da desiderare la morte, ma essa non arrivò. Poté vedere tutto ciò che seguì il terribile gesto di Loredian, arrivando dove il suo incubo non era riuscito a portarlo: vide l'elfo allontanarsi e uscire dal suo campo visivo dopo aver estratto lo stiletto dal suo petto; vide il suo stesso sangue, che ancora poteva sentire colare caldo lungo il torace, strisciare lungo il solco pieno di silesia, che iniziò a brillare di un'intensa luce lattiginosa, e modellarsi attorno al cuore annerito, assumendo una forma vagamente antropomorfa che si ingrandiva lentamente, come ribollendo.

    Il rituale stava dando vita a una creatura. Narell se ne rese conto con orrore, poi smise improvvisamente di provare dolore, e i suoi occhi si chiusero.

L'Era del Risveglio - Il VarcamondiWhere stories live. Discover now