3.

386 85 480
                                    

Ninive

Stavo cucinando per cena. Erano stati giorni intensi, e domani sarebbe stato l'ultimo prima del fine settimana.

Il rumore delle chiavi nella fessura riecheggiarono nella stanza, e mi voltai a guardare la sagoma di Matt varcare la soglia.

«No, non verrò a Seattle!» stava parlando al telefono, che si reggeva tra l'orecchio e la spalla tesa, mentre con le mani posava il capotto sull'appendiabiti.

Mi guardò sbuffando, facendomi capire quanto quella conversazione lo stesse innervosendo.

«Okay, David. Ne possiamo parlare domani in ufficio, davanti a un fottuto caffè?» chiese infine irritato, salutandolo poco dopo, prima di respirare spazientito.

Mio fratello si era laureato da poco, e aveva subito trovato lavoro in un'azienda abbastanza importante di New York.

Quando mi arrivò la lettera d'ammissione, la famosa lettera con due timbri, glielo comunicai entusiasta. Invece lui non mi sembrava lo fosse.
La sua risposta era stata: "sicura di voler far parte di quel mondo? Non sono belle persone".
Il suo tono era allarmato, come se sapesse qualcosa che io, invece, non potevo nemmeno immaginare.

Avevo studiato Matt in quella settimana. Avevo notato che, nonostante il lavoro, si divertisse molto, usciva spesso la sera e tornava tardi. Eppure il giorno dopo era sveglio prima di me a sorseggiare il suo solito caffè, bello e solare come sempre, mentre sfogliava curioso uno dei suoi libri.

«Ninive, dobbiamo parlare» si avvicinò al tavolo e si sedette, mentre io portavo i piatti su di esso.

«Non mi va, sto cercando di seppellire l'ascia di guerra» ero quasi supplichevole e lui lo notò, perché le sue labbra si schiusero in un sorriso.

«Non si tratta di noi, anche se le tue parole mi lusingano» il suo tono era deciso e la sua espressione divertita.

«Di che si tratta, allora?» aggrottai le sopracciglia, preoccupata quanto curiosa.
«Di Damon» concluse, facendo calare il silenzio nella stanza. Spostai i capelli dietro le orecchie nervosa, schiudendo le labbra per far entrare più aria nei polmoni, che iniziavano a muoversi irregolari sotto il maglioncino rosso scuro.

Se gli fosse successo qualcosa, qualsiasi cosa, non me lo sarei perdonato.

«Dimmi che sta bene, Matt!» mi alzai dalla sedia e iniziai a camminare frenetica dietro l'isolotto della cucina, era in marmo e sentii il freddo penetrarmi sul palmo delle mani sudate, quando le posai su di esso.

«Sta bene... adesso».
«Che significa "adesso"?» Corrugai la fronte e alzai il tono della voce, stavo perdendo il controllo.
Era così agonizzante l'impotenza che provavo nei confronti della mia vita, e di quella di Damon.

Non potevo fare niente.

Matt picchiettava le dita sul tavolo per scaricare la tensione. Conosceva le mie crisi.
Sapeva quando poteva muoversi e quando, invece, conveniva che rimanesse fermo lasciandomi il mio spazio.

«L'hanno menato qualche giorno fa. Ti risparmio i dettagli e il motivo...» gli occhi mi pizzicarono, ma cercai di non crollare a quel colpo che sembrò come uno schiaffo in piena faccia.
«Uscirà a dicembre Nì, per buona condotta!» incalzò sicuro e nervoso. Le mie mani si posarono sul viso, per trattenere l'esplosione di emozioni che mi circolavano dentro.

Sarebbe dovuto uscire a maggio, lo sapevo perché lo chiamavo almeno una volta al mese. Ero incredula, e non riuscivo a metabolizzare ciò che mi era stato appena detto.

«Non respiro, Matt!» quasi urlai afferrandomi il petto con una mano, il fiato era corto e avevo gli occhi spalancati a guardare un punto imprecisato nella stanza. In quel momento sentii la sedia stridere sul parquet e una figura alta e possente posarmi a terra.

Con gli stessi occhi Where stories live. Discover now