Un inverno gelido e silenzioso sembrava la stagione giusta per provare a innamorarsi.
Un inverno pacifico, di quelli in cui la neve copriva l'asfalto, e ovattava i suoni dei nostri passi. Ma il mio animo era combattivo, cercava ancora una volta il conflitto, e quando tu mi dicevi «guarda», io non vedevo mai quello che vedevi tu.
Io non sapevo niente di come ci si innamora. Sapevo solo che la violenza divampa in un battito di ciglia, e si consuma altrettanto in fretta, lasciandosi alle spalle una sottile scia di cenere. Era tutto quello che conoscevo, e mi faceva sentire vivo, almeno per qualche secondo.
Qualche secondo mi sarebbe bastato, per il momento.
Ma se avessi scavato nella mia pelle, affondando le unghie tra le vene che trasportavano il mio sangue, tra i miei organi, mi sarei ricordato di essere vivo sentendoli pulsare tra le mie dita? Se avessi cercato fino a toccare le mie ossa, avrei trovato qualcosa, o solo un vuoto incolmabile non appena l'adrenalina si fosse esaurita?
Nelle mie fantasie la violenza aveva il suono graffiante di un pennello a secco sulla superficie porosa di una tela, il sapore amaro che i prodotti chimici della camera oscura mi lasciavano in fondo alla gola quando sviluppavo una nuova fotografia.
Sembrava paradossale, ma era la certezza della morte che mi ricordava di essere in vita, e quel bisogno viscerale di documentare la morte, di osservarla, di viverla, qualcuno lo chiamava arte.
Per la stessa ragione, qualcuno mi chiamava artista.
Il secondo giorno di novembre si concluse con una serata limpida e fredda.
Alle diciotto in punto, le luci dei lampioni di San Polo, il quartiere di Brescia Sud dove era cresciuto, si illuminarono. Dodici lampioni in fila, uno per ciascuno dei suoi anni, accesi come le candeline di una torta immaginaria. Un compleanno lugubre per Valerio, che camminava silenzioso lungo il marciapiede dissestato, calciando un sassolino di catrame con le scarpe dalla suola consumata.
Nel circondario si era guadagnato la fama di essere una cattiva compagnia, quello strano, eppure non era mai solo. I suoi coetanei lo cercavano con una curiosità quasi morbosa, come quel ragazzino del suo palazzo che gli stava sempre alle costole. Persino in quel momento.
Abitava al piano di sotto, e presto si sarebbe trasferito con la famiglia in un quartiere migliore. Uno con meno immigrati e meno degrado, diceva sua madre ogni volta che ne aveva l'occasione. Era la stessa donna che quando la madre di Valerio urlava come una pazza colpiva il soffitto con un manico di scopa e gridava di rimando silenzio.
Dopo un altro passo Valerio si fermò di colpo, e l'altro ragazzino si fermò con lui, senza capirne la ragione. «Guarda.» disse Valerio indicando il lampione successivo, quello che stava proprio vicino al cancello della loro palazzina.
STAI LEGGENDO
𝐂𝐎𝐍𝐓𝐑𝐎𝐋𝐔𝐂𝐄
Romance🔞 [𝐂𝐎𝐌𝐏𝐋𝐄𝐓𝐀] «𝑆𝑒𝑖 𝑝𝑒𝑟𝑓𝑒𝑡𝑡𝑎, 𝑐𝑖𝑛𝑐𝑖𝑎𝑟𝑒𝑙𝑙𝑎, 𝑝𝑒𝑟 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑖 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒 𝑟𝑜𝑣𝑖𝑛𝑎𝑟𝑡𝑖.» *** Curiosa studentessa di arte terapia, con il naso a punta sempre immerso tra le pagine di un manuale di psicologia, P...