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POV NADIA

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POV NADIA

Il mio naso era una continua fabbrica di muco. Ne sapeva qualcosa il pavimento al lato del letto, che era diventato la discarica dei miei fazzoletti usati.

"Ecco qua, un pacco di fazzoletti nuovi e la tachipirina." Disse Stefano, entrando in camera da letto. Aveva coperto il naso e la bocca con una sciarpa bordò, legata dietro la nuca con un nodo stretto. Aprì il sacchetto del supermercato e lo svuotò sul letto.

"Grazie." Dissi, il naso chiuso, afferrando i fazzoletti e togliendo la plastica come se ne andasse della mia vita. Avevo già consumato tutti quelli che avevo in borsa.

"Ecco, lo sapevo, ora mi sento male anch'io!" Si lamentò lui, e corse ad aprire la finestra.

"Cosa non hai capito del fatto che sento freddo?" Urlai, prima che riuscisse a girare il manico.

Lui lo aprì lo stesso. "Fuori ci sono venticinque gradi! Non ti passerà mai se non fai cambiare l'aria! Oltre al fatto che è l'unico modo per liberarci di quell'odore insopportabile." Ribadì con decisione, e mi ricordò una nonna brontolona.

Proprio quando avevo temuto che con lui fosse finita, Stefano mi aveva stupita. Era tornato di mattina, usando il mio mazzo di chiavi personale, quello che avevo lasciato nel monolocale, e mi aveva portato la pasta al forno di sua madre. Era infatti previsto che andassimo a pranzo da lei, invece il pranzo era venuto da me. Ero così affamata che l'avevo mangiata tutta, anche se non riuscivo a respirare mentre masticavo, e anche se non sentivo i sapori.

Stefano mi aveva portato anche lo spazzolino e una felpa asciutta. Ne avevo approfittato per fare una doccia, e siccome non avevo mai usato il profumo di mia madre, me ne spruzzai un po' sul collo dopo avere asciugato i capelli. Ma ne misi troppo, e da quel momento puzzai di bergamotto. Lui, nel frattempo, era uscito a fare scorta di beni primari, quelli che aveva appena rovesciato sul letto.

Più tardi, avevo ancora dei capogiri. Mi soffiai il naso per la centesima volta, e mi feci portare un bicchiere d'acqua con cui inghiottire la tachipirina.

"Speriamo che faccia effetto." Dissi a Stefano, dopo averla mandata giù. "Forse riesco a cambiare le lenzuola prima che mia madre ritorni. Anche se probabilmente dovrà disinfettare ogni cosa con la varechina."

"Io spero che la varechina la beva per sbaglio quel palermitano di merda." Rispose Stefano, bofonchiando, standosene vicino alla porta, con la sciarpa ancora stretta. Sembrava un incrocio tra un rapinatore e una spia maldestra.

Gianmarco era stato un personaggio sfiancante. La sua apparizione, irritante e fugace, mi era costata la salute. Suonava talmente assurdo, ammalarsi a causa di uno sconosciuto che non avrei rivisto mai più, che non volevo neanche pensarci. Meglio dimenticarlo.

Il mio telefono suonò. Era mia madre. Allo stupore di ricevere una sua chiamata (avevo perso la cognizione dello spazio-tempo) seguì il terrore per la batteria del telefono, che era sempre più scarica. Era arrivata al 16 per cento.

StepfatherDonde viven las historias. Descúbrelo ahora