10. Tra Poesia e Malavita

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Erano giorni che François viveva in una condizione di totale isolamento. Cècile e le sue amiche, lo avevano avvistato nella biblioteca di facoltà, ma sempre in solitaria. André e Maxime, un paio di amici di facoltà con i quali usciva ogni tanto, avevano provato a chiamarlo, ma non rispondeva né alle telefonate né ai messaggi.

Il giovane poeta maledetto era seduto in solitaria sul letto della sua stanza nel rione Robespierre, quella dimora di palazzoni e case fatiscenti che era divenuta la sua gabbia di nascita.

Nella mano sinistra maneggiava una sigaretta, nella destra impugnava una penna con la quale scriveva qualcosa su un foglio malandato. Era intento a buttare su carta qualche verso che solitamente confortava la sua mente e gli garantiva uno sfogo.

"Perdona, anima, l'effluvio dei tormenti che t'angosciano, perdonami Dio, per essere nato". Nel suo sguardo si leggeva la sensazione di essere profondamente solo, incompreso.

A un tratto, in lontananza, sul comodino di legno della sua camera, vide un cioccolatino che le aveva regalato Cécile nei momenti di spensieratezza e scoppiò a piangere. Tutto stava diventando insormontabile. Non c'era alcun lato dell'esistenza di François che avesse uno sprazzo di luminosità. Forse soltanto l'arte lo aiutava. Quell'unica musa, quell'unica ancella che lo salvava dal precipizio della disperazione.

Una famiglia a pezzi, una bella e potenziale storia d'amore sacrificata per salvare le rovine di quella precedente. A tutto questo si aggiungeva la mancanza di soldi per pagare l'università e concedersi qualche svago in più. Ora però aveva un problema ben più grave. Aveva un debito con gli spacciatori del vicinato. Doveva saldare questo debito e non sapeva come fare. Si era cullato sull'omertà momentanea del suo amico Ibrahim, e stava soltanto rinviando il momento in cui avrebbe pagato il debito di 500 euro. Gli venne in mente un pensiero, ma cercò subito di scacciarlo. No, non doveva pensarci neanche per sogno.

"Io non sono come mio padre", pensò.

Poi però pensò al portafoglio sempre vuoto, alle serate in cui tornava a casa in bus e senza nemmeno comprare il biglietto, con il rischio di beccarsi una multa che non avrebbe potuto pagare. Non poteva rimanere in quella situazione. Fu così che gli venne in mente una follia. L'unico modo per risolvere questa situazione era parlare direttamente con la persona a cui doveva quei soldi, ovvero un contatto che conosceva dai tempi in cui frequentava il liceo. Si chiamava Mathis Lamar, ed era diventato uno dei personaggi più pericolosi del rione Robespierre. Era cresciuto solo con la madre, perché il padre, Louis Lamar, famigerato criminale, era stato ucciso da un suo rivale, con il quale si contendeva il traffico di immigrati nel porto di Marsiglia. Quando il padre morì, Mathis era un bambino. Sin da subito si era dimostrato uno studente molto scaltro e intelligente, oltre che carismatico nei confronti dei compagni, oggetto del suo bullismo e del suo modo di fare autoritario. Egocentrico e anarchico nella condotta come nell'andamento a scuola, era capace di oscillare tra un due e un dieci nella stessa disciplina, e questo suo desiderio di eccellere o fallire per sua volontà, lo faceva sentire potente. Poco gli interessava di rovinare o meno la sua media scolastica, quel che realmente amava era avere piena consapevolezza delle sue capacità. Caratteristiche precoci in un bambino di otto, nove anni. Nonostante la sua scaltrezza, comunque non intendeva proseguire con gli studi. Un po' perché influenzato dall'ambiente e dalla fama del padre cui velatamente aspirava, un po' perché i compagni di classe e di quartiere la consideravano una perdita di tempo, decise di dedicarsi piuttosto alle attività criminali. Nonostante questa sua intelligenza, fu poco propenso a seguire percorsi di studio ordinari. Voleva infatti aspirare a diventare un capo criminale, esattamente come il suo predecessore paterno. Dalle semplici risse all'ordine del giorno, già da studente era arrivato a dirigere l'intero spaccio nelle scuole della città, e a guadagnarsi l'appellativo di "barone", per i modi gentili e un fare apparentemente signorile.

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