ɪᴠ - ɪ ʜᴀᴛᴇ ɪᴛ ʜᴇʀᴇ

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«Quella schifostronza me la paga!» inveisce contro il nulla Addie entrando nella nostra stanza. Il suo naso si arriccia in una smorfia contratta mentre si scaraventa sul letto con le braccia conserte.

«Immagino non sia andata bene» le dico mentre poggio la schiena alla parete bianca tirando le mie ginocchia al petto.
Non era passato molto da quando avevamo lasciato l'area ricreativa e Addie e T.T.T. erano state costrette ad andare nell'ufficio della Worley.

«Mi hanno tolto l'uscita premio di questo weekend per colpa di quella cagna maledetta.» sbuffa la bionda. «Scusa... è il tuo primo giorno e devi sentire me che mi lamento»
Alzo le spalle.
Non è un problema per me, anzi, focalizzarmi su cose non mie mi permette di portare la mente altrove, lontano da ciò che davvero vuole fare.

«Senti, puoi dire che salto la cena?» mi chiede con aria quasi implorante e gli occhi lucidi.
«Non credo che lo accetteranno facilmente Addie» ammetto.
Un'anoressica che salta la cena non è di certo ciò che un medico vorrebbe, soprattutto se sei in un istituto come il nostro.

«È che il solo pensiero di vedere quella bugiarda di merda mi fa chiudere lo stomaco...» si ferma un attimo, ci pensa, la mano che va sulla pancia piattissima «Lo giuro non è perché non voglio mangiare, non è per... quello» sospira.

«Non è me che devi convincere Addie.» ed è vero.
Io sono l'ultima delle persone che potrebbe dirle cosa fare e cosa no. Che potrebbe impedirle di uccidersi da sola per mancanza di cibo nel suo corpo.
Io ero anche peggio anche se in modo diverso.

«Fanculo!» butta aria dalla bocca scendendo lentamente dal letto dandosi lo slancio con le nocche sul materasso. Per quanto sia magra Addison, non è come tutte le anoressiche di cui ho sempre sentito parlare. Ha la forza morale di un plotone, un carattere vincente, non è una che si lascia morire, forse, perché diversamente da me lei si sta impegnando per uscire da qui, per vincere contro il suo dolore. Non si è arresa, non si è lasciata andare nel suo male.

«Come ti sei guadagnata l'uscita premio?» mi trovo a chiedere mentre metto giù i piedi dal letto anche io pronta ad avviarmi verso la mensa.
«Semplice, ho mangiato... anche se non sempre sono riuscita a reggere.» mi dice abbassando lo sguardo «Sono quattro settimane che cerco di far vedere che ci credo davvero, che fermo le voci nella mia testa e ingurgito quello che mi danno. Tre settimane fa ero a tanto così da dover mettere il sondino e lo ammetto, mi sono cacata sotto.»
Annuisco. Non so neanche cosa dirle.
«E tu invece? Come sei diventata toccofobica?» mi aspettavo che continuasse con una nuova domanda.

È quello che la società richiede. Se tu chiedi qualcosa di conseguenza devi dare altro in cambio.
«Non lo so. È successo un giorno, dopo la morte di mia madre, stavo con un ragazzo all'epoca... è come se il mio cervello avesse deciso di punto in bianco che il mio corpo non potesse essere nemmeno sfiorato, come se temesse qualcosa. Non so, non so spiegarti davvero, vorrei farlo, vorrei capirlo anche io... ma non lo so.» è una domanda che mi sono fatta spesso anche da sola dopotutto.

Perché da quello è iniziata ogni cosa. I brutti pensieri, l'allontanamento della gente, la voglia di morire.
Il contatto umano è qualcosa che la gente da per scontato, ma quando ne vieni privato o te ne privi da solo è terribile. Ti distrugge dentro.

«E quel ragazzo si comportava bene con te? Non è che magari...» ipotizza alzando un sopracciglio.
«No no... Aaron era ok, ero io ad essere sbagliata.» è qualcosa che non ho mai detto ad alta voce, ma ora, sembra quasi naturale.

«Non dirlo mai più Flame. Mai più» il volume della sua voce aumenta, noto le sue guance gonfiarsi leggermente per quanto possano e i suoi occhi fissarmi. «Nessuno di noi è sbagliato. Né tu, né io, né tutti gli altri qui dentro.» sospira abbassando lo sguardo per poi riportarlo su di me «Siamo solo più sensibili di altri»

FRAGMENTS - F.E.A.R.Where stories live. Discover now