Via di Fuga

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Ho sempre cercato un modo per non partecipare agli incontri con i parenti: pranzi di Natale, Comunioni, compleanni.

E questo perché io non me la sono scelta, la famiglia.

È qualcosa che devi accettare, o perlomeno, ciò che ti dicono sei tenuto a fare.

"Non puoi rifiutarti di volere bene a mamma e papà."

"Se zia ti chiede di uscire, accetta."

"Andiamo a pranzo dalla nonna?"

No.

No.

No.

Non forzerò un sorriso per via delle vostre stupide foto, tantomeno abbraccerò persone che non conoscono un briciolo della merda che vivo ogni giorno.

"Non sono tenuti a preoccuparsi per te, lo sai?"

Lo so, e io non sono costretta a incontrarli.

Ho sempre fatto quello che mi pareva, perché il guinzaglio mi era stato lasciato lungo e nessuno si è mai preoccupato di accorciarlo: la verità è che inizialmente il mio cuore ci aveva fatto caso, ma poi si era abituato all'indifferenza altrui.

Perchè dovrebbero fare caso a me?

Chi sono io, per pretendere le loro attenzioni?

"Non sei nessuno, appunto. È colpa tua se ti trovi in questa situazione."

Sono diventata tutto ciò che non volevo, infondo.

Apatica.

Indifferente.

Diffidente.

E la mia paura più grande, infondo, è il pensiero di non essere in grado di uscirne.

Di vedere la luce in fondo al tunnel

"Non la vedrai, perciò datti da fare"

Cosa dovrei fare?

"Trova una via di fuga"

Ovvero?

"Io penso tu sappia di cosa parlo"

"No, non lo farò più."

"E invece sì, che lo farai. Smettila di mentire a te stessa."

"Dammi una ragione per la quale dovrei davvero continuare a farmi del male"

"Perchè il dolore copre altro dolore."

"Non voglio fare questo al mio corpo, basta"

"Allora continua a sopportare il male causato dai tuoi stessi pensieri."

Basta.

Basta.

Basta.

Scusate, ci riprovo domani.

A volermi bene.

Senza TitoloWhere stories live. Discover now