Capitolo dieci: levarsi un peso

2 1 0
                                    

1

Un'infinità di articoli passava davanti ai miei increduli occhi.

Erano così tanti e parlavano tutti della stessa cosa. Sick-Max era morto in circostanze sospette, la polizia stava indagando e gli inquirenti cercavano di abbarbicarsi sulla legittimità di non lasciare commenti.

Come avevo fatto a ignorare tutto questo? Perché non ero mai incappato in un suo video, o in una pubblicità che ne sponsorizzasse i pezzi? Perché non avevo visto il mio amico sfondare, affermarsi e dominare il mercato musicale?

La risposta che il mio cervello elaborò fu semplice, volta a sedare i sensi di colpa e utile a farmi stare tranquillo: Eri impegnato a diventare un supereroe con tutte quelle sessioni di allenamento, l'amicizia con Giacomo, la brutta faccenda del tuo cazzo in coma e i fumetti. Eri impegnato. Troppo, troppo, troppo impegnato.

Ma la verità era un'altra e la conoscevo bene. Mi faceva ribollire lo stomaco dandomi fitte lancinanti, mi riempiva il cuore e la bocca di un amaro insopportabile, mi faceva sentire la merda umana che ero.

Io avevo ascoltato i pezzi di Sick-Max, di Massimo, ma non li avevo riconosciuti. Non avevo prestato la minima attenzione al fatto che la sua voce fosse così familiare, impegnato com'ero a crogiolarmi nella disperazione. Non avevo nemmeno ricondotto alla memoria una strofa che lui mi aveva fatto sentire più e più volte, nelle interminabili ore di attesa passate fuori da questo o quel locale.

Avrei dovuto immaginare che il suo desiderio sarebbe stato indirizzato alla musica, vista tutta la passione che ci metteva. Chissà quanto cazzo aveva sgobbato su quelle basi e chissà quante notti in bianco aveva passato per scrivere un pezzo in grado di far breccia nelle orecchie degli ascoltatori.

Forse c'era stato mesi su un solo testo, ottenendo da me una reazione svogliata. Qualcosa che l'avrà lasciato un po' turbato ma troppo cieco, troppo ligio alla sua vocazione, per scalfirlo davvero.

Ero solo uno dei tanti che aveva sentito in anteprima ciò che tutte le riviste del settore definivano "geniale", uno dei tanti che non gli aveva dato credito. Come poteva sopportare che un suo amico non si interessasse minimamente a ciò che amava?

Oh, ma tu ti illudi di esser stato suo amico. Non lo eri. E sai perché?

Non riuscivo a dirlo ma mi costrinsi. Con le lacrime agli occhi sospirai << ero solo il suo datore di lavoro >> e scoppiai in un pianto disperato.

E in quel momento capii davvero che non avrei potuto più fargli i complimenti che meritava. Il suo dono, ottenuto nella base di San Sperate dall'essere che io chiamavo Sonia, era ciò che tutti avrebbero dovuto scegliere.

La musica poteva portare pace alla gente, far riflettere, dare refrigerio nell'arsura della solitudine, creare un mondo dove chiunque avrebbe potuto rifugiarsi: l'arte.

Lui aveva optato per la pace.

Io e Kekko invece eravamo diventati perfetti strumenti di morte. Avevamo deliberatamente scelto di muoverci come funamboli sul filo principale dell'esistenza: da una parte essere vita e costruire qualcosa, dall'altra morte e distruggere.

Avevamo scelto la morte.

Avevamo scelto di avere così tanto potere da poter ammazzare ancor più efficacemente e uccidere, uccidere e uccidere. Lo avevamo fatto perché c'era qualcosa nella nostra natura, qualcosa di sbagliato, di violento.

Vite violente che finiscono violentemente sussurrò la voce distorta di Rorschach. Alan Moore aveva ragione quando diceva che la natura dell'uomo, che questa sia docile o creata appositamente per nuocere, si rispecchia nelle scelte importanti.

Una Volgare Dimostrazione di Potere: SoldatoWhere stories live. Discover now