Capitolo tredici: Lo ammazzerò

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Fu una cazzata, forse la più grande mai fatta nella mia vita.

Una mega cazzata colossale, una di quelle in grado di mandare a scatafascio la propria esistenza in un millisecondo. Lo capii nel momento stesso in cui toccai la cassetta elettrica più vicina al policlinico. L'energia sprigionata fu troppa e tutta insieme, caos puro a livello di fasci voltaici e scosse così forti da far traballare l'illuminazione di tutta la via.

Se avessi avuto l'esperienza che ho ora, ora che scrivo e racconto questi avvenimenti, avrei lasciato perdere. Avrei provato in qualche altro modo o magari non avrei provato proprio.
Avrei potuto costituirmi e fuggire in seguito, entrando con faccia di bronzo dentro l'ospedale per capire cosa stava succedendo davvero. Oppure sfruttare un diversivo, magari mandando in corto qualche faro, qualche lampione all'interno del perimetro sorvegliato.

Invece scelsi la via più rischiosa in assoluto, ignorando il consiglio di Chiara. Già, perché la sorella di Giacomo aveva ragione: distrarre la sorveglianza in qualche modo e colpire dove meno se lo aspettano è quasi sempre la scelta più logica. Certo, lei aveva proposto di sparare su soldati in grado colpire un uccellino da duecento metri buoni, però aveva pure capito fin da subito la maniera corretta di agire.

Cercherò di essere il più chiaro possibile, perché sappiate che vi spiegherò un concetto abbastanza difficile da assimilare. Provate a seguirmi.

I miei poteri derivanti dall'elettricità sono paranormali, non possono essere spiegati con la fisica, con la termodinamica o con qualsiasi altra scienza. Non esiste una formula matematica in grado di riassumere il perché e il per come della loro presenza. Ci sono e basta.

Però anch'essi rispondo alle leggi della fisica che imperano il mondo. Per dire, usufruirne in maniera continuativa risulta logorante.

Se ad esempio avessi creato un fascio elettrico lungo un chilometro e lo avessi attraversato con il mio corpo, sarei dovuto partire nel momento della nascita del fascio elettrico stesso per non essere sbalzato fuori a metà o a tre quarti. Essere scaraventati via alla velocità della luce significa spappolarsi contro qualcosa, diventare una chiazza sul muro. Proteggendomi con lo scudo energetico sarei pure potuto sopravvivere ma a quale costo?

Spero di essermi spiegato, nei limiti dell'assurdo di questa vicenda.

Quando entrai nella corrente elettrica della cassetta Enel, non ero preparato a ciò che avrei dovuto affrontare. Nella mia mente si trattava di un viaggio immediato, una sorta di teletrasporto come quelli che usavo a corta distanza con le mie sfere di luce. Pensavo che, visualizzando il punto in cui finire, ci avrei messo un istante.

Non avevo calcolato che anche il mio cervello, nella sua funzione normale, produceva elettricità. Dunque scoprii subito che non era immediato, anzi non si trattava di un vero e proprio viaggio da punto A fino a punto B: ero finito in un flusso di corrente che dovevo imparare a decifrare, visivamente parlando. La mia permanenza istantanea cominciai a percepirla alla sua velocità di elaborazione, ovvero quella della luce in quanto luce ero diventato.

In poche parole il tempo divenne lento e io scoprii di non aver capito un cazzo della vera natura di quelle trasmigrazioni corporee.

Quando realizzai come elaborare ciò che mi stava attorno, vidi un piano infinito di coordinate che cercai di numerare mentalmente. Si estendevano a perdita d'occhio in un mare di curvature, snodi e incroci, ovvero la rete elettrica di Roma. Ero all'interno di un gigantesco cablaggio e, colmo dei colmi, mi ero perso.

Non so quanto tempo passai all'interno di quei cavi elettrici, trasportato da un flusso infinito di corrente vibrante, però so che ad un certo punto capii che, se non fossi uscito di lì in tempo, avrei smarrito del tutto la mia coscienza.

Una Volgare Dimostrazione di Potere: SoldatoWhere stories live. Discover now