Capitolo 7-La prova

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La mattina seguente mi svegliai alle prime luci dell'alba. Non ero una ragazza mattiniera ma l'ansia della prova doveva aver destato i miei neuroni precocemente. Mi stropicciai gli occhi, scoprendo con stupore che Morfeo era ancora al mio fianco. "Sei sveglia?" Mi chiese con voce impastata.
Annuii.
Egli non replicò e mi fece cenno di seguirlo. Ancora intontita dal sonno, non chiesi neppure quale fosse la nostra meta.
Attraversammo i giardini di Persefone e rientrammo in città. Questa, nonostante fosse presto, era già attiva. Dei minori, semidei, umani passeggiavano per il viale principale con freneticità, intenti nelle loro occupazioni quotidiane.
Giungemmo nell' agorà, dove trovammo ad attenderci una donna giovane, abbigliata con il tipico chitone greco, accompagnato dal peplo che le ricopriva il capo. L'abito, interamente bianco, contrastava con il rosso ramato della capigliatura. Schiuse le labbra vermiglie in un dolce sorriso. "È un piacere conoscerti, Diana. Io sono Estia, dea protettrice del focolare domestico."
Ricambiai il sorriso, un po' perplessa. Estia non era una dea del Dodekatheon. Dunque, perché si trovava qui?
"Il mio compito è quello di fornirti la benedizione divina, prima che tu affronti la prova" spiegò la dea, anticipando la mia domanda. "È mio dovere farlo per tutti gli eroi."
Prima che potessi ribattere, mi si accostò e mi posò una mano sulla fronte. La udii recitare alcune formule rituali in greco antico ed immediatamente un piacevole calore si diffuse in tutto il corpo. Donò una sensazione di benessere così forte da indurmi a chiudere gli occhi per goderne appieno; era similare ad una fiammella di una candela alla quale ci si avvicina per riscaldare le mani intorpidite dal freddo.
Il calore cessò improvvisamente, facendomi spalancare gli occhi. Estia mi sorrise sorniona. "Stai meglio adesso?"
Annuii e sfoggiai un sorriso radioso. Ogni traccia di ansia aveva abbandonato il mio corpo. Ero nella condizione ideale per affrontare una prova. "Sì, mi sento ener..."
Ancora intontita da quella sensazione di benessere, non mi accorsi di un rumore alle mie spalle. Un braccio mi cinse il collo. Stupita, tentai di divincolarmi ma la presa, sebbene non mortale, era piuttosto ferrea. L'adrenalina entrò in circolo, sollecitando il mio istinto a reagire. Alzai una gamba all'indietro per tirare un calcio al mio aggressore. Egli però calò una mano sui miei occhi, oscurandomi la vista. Senza esitazione, gli morsi la mano con forza e lui la ritirò, dolorante. Riaprii immediatamente gli occhi. Buio. Abbassai le palpebre e le rialzai. Buio. Buio completo. Decisa a liberarmi dallo sconosciuto, sul momento tralasciai il problema e gli tirai una gomitata nelle costole. Egli lasciò finalmente la presa sul mio collo, imprecando. "Maledetta umana!" La voce proveniva dalle mie spalle così mi voltai. Tuttavia, non vidi nessuno. Cieca, realizzai improvvisamente. Ero cieca. "Co...cosa mi hai fatto alla vista?" Ansimai, cercando di non farmi sopraffare dal panico.
"Ho dovuto farlo" si giustificò l'uomo. "Devo condurti al monte Erimanto. Purtroppo però non ti è concesso vedere la strada."
"Capisco" mormorai tetra. Era una mera esigenza divina alla quale io, nuovamente, dovevo sottostare. In quei giorni, pareva che io fossi completamente subordinata agli dei. E come aveva giustamente affermato Artemide, odiavo piegarmi alle autorità.
"È temporaneo, vero?" Chiesi con apprensione.
"Naturalmente" Lo sconosciuto-che dal timbro di voce intuii essere Apollo- mi si avvicinò, mi cinse la vita e mi fece fare qualche passo in avanti. Sebbene detestassi essere guidata e sostenuta come un'invalida, in quell'occasione non avevo scelta. Mi prese in braccio e mi sistemò su un cuscino. L'ultima cosa che sentii prima di sollevarmi in aria fu la voce di Morfeo che mi promise di supportarmi moralmente in quella difficile impresa.

Il viaggio fu abbastanza lungo, o almeno a me così parve, dato che non potevo osservare il panorama circostante.
"Siamo arrivati" annunciò Apollo dopo un tempo indefinito. Un tonfo sordo mi fece capire che eravamo atterrati. Una luce accecante m'investì ma quando aprii gli occhi riuscii a scorgere in modo indefinito il luogo in cui ci trovavamo. Ancora qualche attimo e i contorni divennero nitidi. "Come noti, la vista ti è tornata." Il dio del sole schiuse le labbra in un sorriso abbagliante. "Ora però ti devo lasciare da sola." Mi scrutò ancora qualche secondo poi si dissolse nel nulla. Abbracciai con lo sguardo il paesaggio. Ero in un bosco, circondata solo da alberi e fauna montana. Completamente sola.

Il marchio della cacciatriceOù les histoires vivent. Découvrez maintenant