Fourty First Shade [R]

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L'acqua scrosciava, inondando il lavandino e schizzando goccioline ovunque, ma Richard non se ne curava. Fermo davanti allo specchio, esaminava il proprio volto pallido con aria assorta, quasi distratta. Dopo un tempo apparentemente lunghissimo si riscosse: immerse le mani nel getto d'acqua e si sciacquò il viso due, tre, quattro volte, finché non sentì le dita e la pelle ghiacciate.

Asciugatosi sommariamente, l'uomo uscì dal bagno e si fermò a guardare tutto quello che lo circondava. L'ambiente familiare della propria camera da letto lo tranquillizzò: i mobili, il suo completo preferito appeso all'anta dell'armadio, pronto per essere indossato, i quadri appesi alle pareti, tutto contribuiva a placare il grumo viscido che gli si agitava nello stomaco.

Gli occhi di Richard caddero sul letto. In quel letto una volta aveva dormito Agathe; da sola, ma quel giorno, anche a ore di distanza, aveva potuto sentire, vaghissimo, l'odore di lei aleggiare sul cuscino. Distolse lo sguardo.

«Rick, come ti senti?» chiamò piano Damon dalla porta. Aveva seguito lo sguardo smarrito e angosciato dell'amico e aveva percepito quel malessere come proprio. Entrò nella stanza e spinse l'altro uomo a sedere sul bordo del letto. «L'effetto del tranquillante che ti ho dato è svanito o ti senti ancora stordito?»

Richard scosse la testa. «Sono lucido» mormorò. Si massaggiò la gamba con un gesto casuale. «È ancora indolenzita» notò senza un vero interesse.

«Passerà presto» lo rassicurò Damon. «A parte la gamba, tu... come stai, tu?»

L'altro si strinse goffamente nelle spalle. «Sto bene, Damon, sto bene. Solo...» esitò, il respiro bloccato, «è solo che non riesco a smettere di pensarci».

Damon gli strinse una spalla: non aveva parole di conforto da offrirgli, ma solo la propria vicinanza. D'altra parte, il malessere del suo amico non era del tipo che si potesse guarire con qualche medicina.

«Devo andare, non sono riuscito a farmi spostare il turno in ospedale» disse dispiaciuto il medico dopo un po', alzandosi. Guardò Richard, preoccupato. «Alan è a casa, gli ho detto di passare da te più tardi...»

«Non ce n'è bisogno» mormorò Richard, spento: con il pigiama e i capelli in disordine, non sembrava neanche lui.

«Invece sì» rispose Damon con dolcezza. «C'è bisogno. Siamo i tuoi migliori amici, non ci respingere».

Richard fece un debole gesto d'assenso. Damon se ne andò. Inquieto, il padrone di casa si alzò di nuovo con una lieve smorfia di fastidio: la gamba era un po' rigida e gli dava qualche grattacapo, ma non ce la faceva più a stare a letto, tanto più dopo aver ricordato come anche Agathe vi avesse riposato...

Aggrappato alla balaustra e a uno dei suoi fidati bastoni da passeggio, Richard scese le scale lentamente, con passo incerto: ci mise un'eternità, ma quando i suoi piedi si posarono sul corridoio del piano terra, si sentì un po' meglio.

Ora non doveva fare altro che trovare una stanza in cui Agathe non fosse mai entrata e rinchiudercisi dentro.

******

La pendola in corridoio aveva da poco suonato le undici quando Alan arrivò a casa Prescott.

«Rick? Richard? Dove diavolo sei?» chiamò la voce allarmata del giornalista quando trovò la camera da letto vuota. Per parecchi minuti i passi frettolosi di Alan riempirono la casa insieme ai suoi richiami concitati, e Richard si decise a dargli un indizio: con l'impugnatura del bastone da passeggio abbassò la maniglia della porta e la tirò, lasciandola spalancata. «Diamine, Richard, ecco dove ti sei ficcato!» sbottò Alan, sollevato e irritato in parti uguali, quando infine lo trovò. «Mi hai fatto prendere un colpo!»

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