1. You're gone

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You're gone

E' una lacrima quella che scende sul tuo viso, la riesco a vedere distintamente da qui. Una singola lacrima salata che riga silenziosa la tua guancia. Dalle tue labbra - dannatamente rosse e invitanti - socchiuse che cercano un respiro in più, non esce suono. Né un singhiozzo, né un lamento, niente. Sono silenziose ed io le guardo da lontano, le bramo come un predatore brama la sua preda, ma al contrario, io non attacco, osservo. Ti osservo e ti bramo, ma non attacco. Ti lascio sola nelle tue paure, nelle tue insicurezze, ti guardo e sto male.

Quelli che ci dividono sono poco più che cinque metri ma anche così, non ti sento. Il tuo sguardo è basso, gli occhi incollati al tuo cellulare - un vecchio modello, nulla di importante, rispecchia l'umiltà della donna che osservo ormai da mesi. Riesco a vedere ogni tuo più piccolo particolare da quei cinque metri, così miseri, così raggiungibili ma io no, non mi muovo e tu.. non credo sappia neanche della mia esistenza. Della mia costante voglia di osservarti.

Sei vestita bene, oggi, come sempre d'altronde. Forse , però, non devi aver calcolato bene il freddo che fa. Difatti, tremi. E' un fremito che scorre in tutto il tuo corpo ed io, io vorrei solo venire lì e scaldarti, coprirti con il misero calore sporco del mio corpo. Ma non mi muovo, non mi muovo mai se ci sei tu.

Quando posi una mano sul telefono, per coprire lo schermo, è lì che il mio cuore perde un battito. L'idea che presto potresti alzarti da quella sedia scricchiolante e abbandonare il piccolo bar, mi fa stare male. Mi fa stringere il cuore, come se fossero le tue dita quelle ancorate intorno a questo organo distruttivo. Ma l'unica cosa che fai, è posarlo in borsa e socchiudere gli occhi.

Ora, hai i capelli che ti sfiorano le guance rosee e la fronte piccola. Ti coprono il viso e vorrei scostarli per mostrare al mondo la bellezza radiosa del tuo viso, ma non mi muovo. Poi, ti porti le mani a coprire gli occhi, color caffè, comuni ma inspiegabilmente attraenti. C'è una vita intera dentro quegli occhi, una vita tutta da scoprire ma che non mi è permesso intralciare.

Stringo i pugni sotto il legno del tavolo, odio quando ti copri e non ti mostri a me. Sto male, voglio guardarti fino a stare male.

Ma poi, quando scosti le mani, capisco. Rilascio la presa sui miei pugni, sento il dolore che li macchia ma non oso guardarli. Non oso distogliere lo sguardo da te, dal tuo viso, scosso dalla tristezza e impregnato da lacrime amare. Vorrei conoscerti per chiedere cos'hai che non va, cosa ti tormenta, cosa provoca quelle lacrime amare che rovinano il viso puro e privo di imperfezioni. Ma non mi è dovuto intromettermi nella tua vita.

Il tuo telefono squilla, lo sento da qui. Sospiro frustrato e distolgo lo sguardo da te, che per parlare alzi sempre gli occhi. Scruti il posto che ti circonda senza prestarvi davvero attenzione. Allungo la testa e socchiudo gli occhi, tutto ciò che posso sentire ora è affidato alle mie orecchie.

La tua voce è flebile, al telefono, di persona sfortunatamente non l'ho mai potuta assaggiare. Non ci ho mai potuto fantasticare, nei miei sogni tu non mi parli. Mi guardi, come ti guardo io, ci osserviamo e ci leggiamo dentro. Mi basta questo quando mi sveglio e capisco che tu non sei, non potrai mai, essere mia.

Parli al tuo interlocutore con timore, io stringo i pugni sempre più forte. Il dolore è una distrazione che non posso permettermi, non quando posso provare ad immagazzinare un briciolo dell'intensità della tua voce. Sembri preoccupata, timorosa e triste. Non ho il coraggio di girarmi, ma posso percepire le tue lacrime fino a qui.

Una rabbia ingiustificata mi sale fino alla gola, stringo forte le mani intorno al bordo del tavolo per non immaginarle attorno al collo di chi ti intimorisce, di chi ti procura tristezza. E poi sospiro sconfitto perché oggi mi sono nutrito solo della tua tristezza e fa male, da morire.

Poi chiudi la chiamata, hai detto che stai per arrivare. Io stringo i denti e ti guardo alzarti, ti seguo con gli occhi del felino pazzo che sono ormai diventato.

Poi emetto un ringhio, il vaso davanti a me si frantuma al suolo dopo la collisione con il mio pugno. Il sangue macchia le mie nocche, sento gli occhi indignati e stupiti degli altri frequentatori del bar, non i tuoi però, tu sei già andata.

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Mi vergogno un po' di tutto questo, non so che cos'è. Avevo solo bisogno di scrivere qualcosa di puro e irrazionale. Qualcosa di non costruito, dettato solamente dall'ispirazione.
Credo sia la mia unica giustificazione.

𝐖𝐑𝐈𝐓𝐄 𝐇𝐄𝐑Where stories live. Discover now