Capitolo 11

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Jane's Pov

Ero seduta nell'ufficio di Megan, quando entrò rivolgendomi un caloroso sorriso.
"Ciao. Scusa per il ritardo" si scusò chiudendo la porta e sedendosi sulla sedia di fronte a me
"Tranquilla" la rassicurai
Vidi che mi scrutava attentamente, come se cercasse di leggere qualcosa nei miei occhi, era impossibile. Io mi mostravo neutrale, priva di sentimenti e di emozioni. Ero come una maschera senza espressione.
"Jane io ho bisogno che tu mi dica quello che è successo quel giorno per poterti aiutare" disse
"Io non ho bisogno di aiuto" scattai
Notai che si tolse gli occhiali e sospirò guardandomi con uno sguardo triste.
"Ho visto molte persone tenersi dentro il dolore e farsi logolare e dannarsi l'anima da esso, fino a perdere la ragione" iniziò
"Il dolore rende pazzi e ti distrugge, ti consuma fino ad ucciderti. Io voglio aiutarti per impedire che il dolore che stai provando non ti distrugga" finì

L'uomo è nato per soffrire e ci riesce benissimo

La guardai con gli occhi sbarrati ed il respiro bloccato. Io non ero pazza e non volevo diventarlo, anche se il dolore mentale è il più difficile da nascondere e il più difficile da sopportare, lo avrei tenuto dentro di me, nascosto in una parte remota della mia anima, facendo dimenticare sia a me che agli altri che lo avessi.
"Io non ho bisogno di aiuto e non sono pazza; non posso dirti quello che è successo, è qualcosa di troppo pesante da dire ed io non voglio riviverlo mentre lo racconto" dissi
"Tu non sei pazza - mi rivolse un debole sorriso - ma se dici che questo segreto è così grande, prima o poi dovrai dirlo a qualcuno o ne verrai inghiottita" affermò

Il dolore mi ha già consumata ed inghiottita

Rimasi zitta mentre guardavo il vuoto nella stanza. Non potevo raccontarlo, era troppo pensante da dirlo e troppo oscuro per far volare le parole in aria. Quel giorno mi aveva rovinata, uccisa facendomi perdere me stessa e logorando la mia anima, facendo si che i miei demoni sporcassero e tormentassero i miei sogni, rendendoli incubi macrabi ed infiniti.

La mia vita è un incubo da cui cerco di destarmi

"Quello che è successo è troppo grande da dire, è più grande di me, è qualcosa di troppo distruttivo da dire. Nessuno può capire quello che ho provato in quel momento, nessuno può, e nessuno può aiutarmi" dissi
Calò un silenzio pesante, facendo risvegliare i miei pensieri più oscuri liberandoli nella stanza.
"Da quant'è che non piangi? " chiese rompendo il silenzio
Mi bloccai sul posto alla sua domanda. Non mi ricordavo da quanto i miei occhi diventavano rossi e dilatati e il respiro affannoso. Avevo smesso di piangere da un sacco di tempo, non volevo più mostrarmi debole agli occhi degli altri. Piangere mi uccideva, mi faceva sentire uno schifo, mi opprimeva l'anima fino ad uccidermi, mi faceva bruciare il petto e spegnere il cervello, fino a rendermi neutrale, senza sentimenti, come un morto vivente. Rimasi in silenzio senza rispondere alla domanda.
"Jane lo so che non piangi da tanto e questo è un male. Piangere serve per sfogarsi e liberarsi. Se non vuoi piangere davanti alle persone, puoi farlo quando sei da sola" pronunciò
"Io non voglio piangere proprio. Ne da sola, ne con nessun'altro. Per me è disgustoso da fare. I deboli piangono i forti no" dissi duramente
Vidi che sospirò e si spostò i suoi rossi capelli dal viso.
"È un difetto tipicamente umano: apparire duri per nascondere un'anima fragile" disse
Non dissi niente, e quella frase entrò nella mia testa ripetendosi ripetutamente, come una canzone che ti è rimasta impressa nella mente. Quando finì la seduta, mi alzai e la salutai.
"Ci vediamo la prossima volta" mi salutò rivolgendomi un piccolo sorriso
Annuì e me andai dallo studio.

Megan's Pov
Quando Jane uscì, mi buttai a peso morto sulla sedia, mi tolsi gli occhiali e li appoggiai sulla scrivania. Sospirai per la stanchezza. Jane era un caso molto difficile: era stata rovinata e cambiata da persone cattive e da eventi orribili e traumatici, poi il suo chiudersi in se stessa e il suo non riuscir ad esprimere quello che provava, faceva capire che provava troppo dolore per esprimerlo e che aveva subito cose brutte da ricordare con le parole. Presi il telefono e composi il numero dei genitori di Jane. Al terzo squillo risposero.
"Buon giorno Signora Russell" salutai educatamente
"Salve signorina Hunt" salutò
"È successo qualcosa?" continuò con voce preoccupata
"No no, volevo parlare di Jane" dichiarai
"Cos'è successo? " domandò
"Sono preoccupata per lei, quella cosa che le è successo è molto grave e l'ha rovinata, ho cercato di provare a farmi dire cos'è successo per poterla aiutare, ma lei è chiusa in se stessa e... ho visto casi in cui il paziente ha vissuto un trauma talmente grave da non riuscire a raccontarlo ed alla fine ha perso la ragione" sospirai
"O mio dio" la sentii esclamare
"Lei crede che-" disse ma la fermai
"No no, Jane non è pazza, ma se dobbiamo aiutarla dobbiamo riuscire a sbloccare la sua mente" dissi
"Ha ragione. Che cosa dovremmo fare?" chiese
"Provate a parlarne con Jane poi mi direte" risposi
"Va bene. Grazie mille dottoressa" mi ringraziò
"Non c'è di che" conclusi mettendo giù il telefono
Jane era una ragazza forte, ma era troppo debole per questa vita.

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