Capitolo 14

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Jane's Pov
Dopo essere corsa via velocemente da Harry, terrorizzata da quello che mi aveva fatto prima, mi rifugiai in camera mia: portai le gambe al petto e mi strinsi a me stessa, cercando di dimenticare quello che era successo, anzi di dimenticare quel giorno. Stavo provando un dolore lancinante, sentivo il petto bruciare e il cuore battere all'impazzata. Il dolore quando dura è temporaneo un giorno, un'anno, un'ora, ma tanto poi ci scordiamo e ritorniamo come sempre soli: e il dolore che stavo provando sembrava durare un'eternità, come se fosse una punizione data da Dio. Con fatica mi alzai e mi diressi verso il bagno, bisognosa di farmi una doccia per rilassarmi e di scordare gli episodi avvenuti prima. Mentre facevo la doccia, sfregavo velocemente sulla mia pelle con la spugna cercando di togliere la sensazione delle mani di Harry su di me. Mi sembrava che la stanza si stesse ristringendo, che tutto diventasse più piccolo, mi sentivo di soffocare, soffocare nel mio stesso dolore, di essere inghiottita dalla sofferenza che stavo provando. Il vuoto dentro di me mi stava consumando, come si consuma una sigaretta, ed aumentava sempre di più, rendendomi un morto vivente; non riuscivo più a continuare a vivere la vita che stavo vivendo, non riuscivo più a portare tutto il dolore sulle spalle, che stava iniziando a buttarmi sempre più giù, fino a portarmi nell'oscurità della mia anima. Avevo bisogno di staccare da tutto, di smettere di vivere questa inutile vita, di farla finita una volta per tutte. Avevo bisogno di morire. Anche se ero morta dentro, avevo bisogno di far cessare il cuore, di spegnere qualsiasi organo che mi permettesse ancora di vivere. Ero stanca di vivere una vita piena di sofferenze, stanca di essere quella sbagliata, stanca di essere sempre abbandonata, stanca di non essere mai felice. Ero un errore umano, un mostro, ed era per questo che dovevo morire: così le persone sarebbero state meglio senza di me ed io avrei potuto essere per la prima volta felice. Per colpa mia loro erano morti e per questo dovevo morire: per impedire di far soffrire altre persone per colpa mia, per colpa di essere un mostro. Finii velocemente la doccia, e quando uscii, osservai il mio riflesso allo specchio. Mi disgustavo, facevo schifo: avevo i polsi rossi per colpa della forte stretta di Harry, un eccesso di grasso c'era su tutto il corpo, gli occhi erano spenti e vuoti, come la mia anima, e sul fianco sinistro vidi quella cicatrice che tutti i giorni mi ricordava che cosa fosse successo quel giorno, che mi ricordava che era tutta colpa mia se loro non c'erano. Mi guardavo allo specchio e vedevo tutto ciò che non volevo essere.
Più guardavo il mio corpo, più provavo ripugnanza verso di esso: non riuscivo a capacitarmi del fatto che piacessi a James. Come faceva ad amarmi? Come faceva ad amare lo schifo che ero? Il mostro che aveva causato una cosa terribile? Come faceva ad amare il mio corpo, se era un ripugno? Sentii un conato di vomito partirmi dallo stomaco, così corsi verso il water e rigettai tutto. Mi sentivo uno schifo e lo stomaco sottosopra; mi allontanai dal water e mi piegai su me stessa. Mi sentivo male, non c'è la facevo più a vivere questa vita, era l'inferno. Dovevo farla finita, tagliare via tutto e spegnermi completamente. Mi alzai con fatica dal pavimento, avvolsi il mio corpo con un asciugano ed uscii dal bagno, andai verso il letto e presi il mio telefono, e lessi un messaggio di James.
Da James:
"Stasera ti vengo a prendere alle 7. Ti amo piccola."
Rimasi senza parole quando lessi il messaggio: mi aveva perdonato, aveva perdonato l'errore stupido che avevo commesso; e sinceramente non sapevo se esserne contenta o timorosa. Contenta che nonostante il mio stupido errore mi avesse perdonato e che si fidava ancora di me; timorosa perché avevo paura che mi avrebbe abbandonato come avrebbero fatto tutti e che avrebbe cercato qualcuno migliore di me. E sicuramente c'era. Indossai l'intimo e poi andai verso lo specchio che era di fianco all'armadio: mi guardavo, osservavo ogni kilo, tutto il grasso e l' imperfezione che c'era in me; mi toccai la pancia più volte cercando di nasconderla, di nascondere uno dei miei frammenti di dolore. Tutto di me era sbagliato, fottutamente sbagliato, ed era anche per questo che tutti mi lasciavano. Feci un lungo respiro, cercando di provare ad andare avanti, ed aprii l'armadio cercando qualcosa da indossare per l'appuntamento. Cercai qualcosa di elegante, anche se la maggior dei miei vestiti erano composti da tute e jeans, così continuai a cercare finché non trovai in fondo all'armadio un vestito largo, lungo fino alle ginocchia, di un blu notte in pizzo: era semplice ma anche bello ed elegante. Lo indossai, poi sotto misi dei leggings e delle ballerine nere e mi infilai un blazer nero. Mi osservai allo specchio, e sembravo abbastanza decente, facevo un po' meno schifo del solito. Misi del mascara sugli occhi e un velo di lucida labbra. Feci un respiro profondo, cercando di controllarmi e di impedire che qualsiasi demone uscisse fuori in quella serata: dovevo riuscire a non rovinare tutto. Mi sentivo emozionata che per la prima volta uscissi con un ragazzo a cui piacevo e che mi piaceva e che mi accadesse qualcosa di bello nella mia vita, però avevo paura che qualcosa dovesse rovinare tutto: che una luce bellissima e splendente dovesse rendersi scura e cupa per colpa dei miei mostri. Forse quella sera sarei riuscita a metterli chiusi in una gabbia facendoli tacere e di mettere il mio passato in un angolino remoto della mia mente. Feci un'altro respiro, presi una borsetta nera e la giacca, per poi scendere le scale.
"Stai benissimo Jane! Dove vai?" chiese mia madre uscendo dalla cucina
Lei non sapeva della mia storia con il mio professore, e certamente non gliela avrei raccontata: non doveva sapere che sua figlia era fidanzata con il suo professore di filosofia, l'avrebbe sconvolta e forse per la prima volta mi avrebbe visto per quello che ero realmente: un mostro. Però non potevo darle un'altro dispiacere, per colpa mia ne aveva passate tante e non si meritava un'altro peso sulle spalle.
"Esco con John e Lindsey." mentii
"Divertiti tesoro." mi sorrise dolcemente prima di rientrare in cucina
Come si riesce a dire alla persona che ti ha dato la vita che vuoi morire?
Feci un debole sorriso per poi uscire; fuori c'era un vento fortissimo, così indossai subito la giacca e cercai se James era arrivato, quando notai da lontano la sua macchina, mi incamminai velocemente verso d'essa, e quando fui dentro, il calore del riscaldamento mi rilassò. James si avvicinò e unì la sua bocca con la mia, in un dolce e delicato bacio.
"Sei bellissima." mi disse guardandomi negli occhi dopo essersi staccato dal bacio
Quando si staccò sentivo come se in quel bacio mancasse qualcosa, qualcosa di forte e passionale, come quello di Harry. Scossi la testa cercando di dimenticare quello che avevo pensato.
Non dovevo pensare a lui, era stato uno sbaglio quel bacio, un terribile sbaglio, e dovevo dimenticarlo.
"Grazie, anche tu." arrossii per il suo complimento
Dopo avermi rivolto un sorriso, accese la macchina e partimmo verso il nostro appuntamento. Durante il viaggio osservavo dal finestrino il paesaggio ricoperto dall'oscurità della sera, e mi sembrava che con un leggero tocco, tutto sfumasse via come polvere; intanto James aveva accesso la radio e cercava di parlare con me, ed io forzatamente cercavo di sembrare normale e rilassarmi: ma in verità mi sentivo fuori posto, come se fossi di troppo. Quando la macchina si fermò, ci trovammo davanti ad un ristorante elegante affacciato sulla spiaggia. James scese velocemente e veni ad aprire la mia portiera, scesi e con un sorriso lo ringraziai; strinse la mia mano con la sua ed insieme ci dirigemmo verso il ristorante. Pensavo di sentire qualcosa quando mi strinse la mano, come una scossa o un'accelerazione del cuore per il gesto, ma invece non provavo nulla, niente, come se fosse una semplice stretta di mano tra amici. Dio, odiavo i miei sentimenti, l'emozioni che provavo, e sapevo che in fondo al mio cuore mi sarebbe piaciuto che una certa persona lo avesse fatto. Harry. Scossi la testa cercando di non farmi distrarre da quei pensieri. Quando entrammo nel ristorante sentivo il cuore battere forte nel petto: cercavo di controllarmi, di mettere da parte il mio problema con il cibo, ma già sentendo l'odore mi veniva la nausea. Feci un profondo respiro e feci finta di niente, come sempre, come se tutte stesse andando bene e non mi sentissi male. Il ristorante era molto elegante, tutto decorato tra le tonalità del blu e del bianco, con appesi al soffitto dei lampadari di cristallo che illuminavano tutta la stanza conferendole un'atmosfera intima. Ne rimasi affascinata: era sia elegante ma anche semplice. Dopo che James disse alla receptionist il suo cognome, un cameriere ci condusse verso il nostro tavolo che si trovava in un angolo del ristorante vicino alla vetrata, dove si poteva ammirare il mare e la spiaggia. Ci accomodammo al nostro tavolo mentre leggevamo il menu che il cameriere ci aveva lasciato. Mentre leggevo il menu mi sentivo osservata, così alzai lo sguardo e vidi James fissarmi intensamente.
"Perché mi fissi?" ridacchiai nervosamente arrossendo
"Sei bellissima" disse guardandomi intensamente
Abbassai lo sguardo arrossendo intensamente. Mi sentivo a disagio, non ero abituata ai complimenti ed alle attenzioni che lui mi dava. Anzi, non ero abituata a tutto questo, a quell'amore che lui mi dichiarava e che mi mostrava. Quando arrivò il cameriere per prendere le nostre ordinazioni, non avevo ancora scelto e sinceramente non avevo fame, anzi non volevo mangiare, ma non potevo far preoccupare James.
"Jane, che cosa prendi?" mi domandò dolcemente James
Ma come faceva ad amarmi? Come faceva a guardarmi senza provare ribrezzo.
"Quello che prendi tu." dissi semplicemente, anche se sapevo che me ne sarei pentita
Dopo che prese le nostre ordinazioni, il cameriere ci lasciò da soli e continuammo a parlare. Mi sentivo a disagio, come se tutti avessero gli occhi puntati su di me pronti a puntarmi il dito contro appena compiessi un passo falso, ma sapevo che quel disagio si riferiva soprattutto al fatto che disgustavo il cibo.

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