Capitolo 13 - The Clock is Striking Twelve

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Che Alex fosse per ogni verso una persona completamente fuori dal comune, questo l'aveva capito dal primo momento in cui le aveva rivolto la parola, in quella notte di pioggia che già sembrava incredibilmente lontana.
Ma quanto era avvenuto sull'uscio di casa sua era semplicemente inspiegabile. La visita inaspettata, l'espressione stupefatta sul suo viso – i suoi occhi verdi riflessi in quelli spalancati di lei – e la fuga repentina nella quale s'era gettata, senza nemmeno una spiegazione: niente di tutto questo tracciava, nella mente di Sam, così allenata all'arte della deduzione logica, una soluzione anche lontanamente sensata a quell'irrisolvibile rebus. Era giunto alle conclusioni più strampalate e fantasiose – per un attimo s'era perfino convinto che la ragazza fosse sotto l'effetto di allucinogeni, dati i suoi precedenti a riguardo – ma nessuna di queste sembrava alla fine abbastanza plausibile per accordarsi con la realtà dei fatti. Perfino Ariane, abituata dal suo mestiere a mostrarsi stoica anche di fronte ai comportamenti meno comprensibili, era rimasta allibita dalla scena alla quale aveva assistito.
Insomma, alla fine aveva dovuto arrendersi all'evidenza dei fatti: tutto ciò che era accaduto consisteva nel loro scambio di sguardi, nel lancio di una scatola e nella successiva fuga scatenata da qualcosa che non riusciva ad intuire.


La psicologa aveva richiuso la porta dopo avergli permesso di rientrare, scoccando a Sam uno sguardo molto più che semplicemente interrogativo.
Lui, del canto suo, non aveva saputo fornirle spiegazioni. Non aveva impiegato poi così tanto per capire che qualunque problema fosse nato da quel loro incontro, avrebbe fatto meglio a chiedere alla diretta interessata, piuttosto che cercare indizi laddove non ne avrebbe trovati.
Si era recato all'Holiday, quella notte, nonostante gli fosse stato suggerito di riposare per quanto possibile e di inghiottire, se necessario, un sonnifero piuttosto forte che lo avrebbe "aiutato a rilassarsi" – un eufemismo per "steso per qualche ora" che conosceva fin troppo bene dopo lo stress al quale gli esami medici lo avevano sottoposto.
Non che quella prescrizione fosse sconveniente, certo; tuttavia Ariane non sapeva che per Samuel, ormai, un'ora di conversazione con Alex Black ne sostituiva almeno otto di sonno. Era strano, buffo perfino: come lo facesse star bene il loro dialogo a tratti sincero e ad altri semplicemente giocoso. Ascoltare le parole schiette e nude di lei, osservare le sue labbra rosse muoversi sinuosamente... lo facevano sentire libero, come se tutti i suoi demoni avessero collettivamente deciso di prendersi qualche ora di meritata vacanza dal tormentarlo.
Era buffo; era sorprendente. Che ricordasse, non c'era mai stato nessuno che l'avesse fatto sentire in quel modo.

Così, pazientemente, appoggiato con la schiena contro la macchina ed avvolto nel solito giaccone infinitamente grande per il suo fisico asciutto, aveva atteso fuori dal locale l'orario di chiusura, oltre al quale solitamente la cameriera lo invitava ad entrare per una breve chiacchierata o uscire per fare quattro passi e parlare di tutto e niente. Così, magari, avrebbe avuto l'opportunità di domandarle cosa esattamente l'avesse turbata quella mattina e, di conseguenza, avrebbero potuto risolvere un eventuale malinteso.
Sam poteva non essere esattamente un esperto delle relazioni sociali; però quella gli sembrava la scelta più sensata da operare.

Ma Alex non arrivò.
Né quella sera, né nelle successive.

Inerme e rassegnato di fronte alle luci completamente spente del locale, dopo tre giorni di fallimento, Sam cominciò a pensare che avrebbe fatto bene a desistere da quella ricerca. Se Alex non voleva vederlo, doveva aver fatto qualcosa di abbastanza grave da intimorirla o impressionarla (ma c'era davvero qualcosa in grado di sconvolgere Alex Black in questo mondo?) e probabilmente aveva tutte le ragioni per restarsene rintanata a riposare, piuttosto che dedicare il suo tempo all'agente federale più disfunzionale di Manhattan.
Rimontò in auto e, stringendo il volante tra le dita nodose, concordò con se stesso che non avrebbe più cercato la giovane cameriera, che avrebbe piuttosto proseguito con la sua monotona vita tra un paio di visite e dieci pasticche colorate ogni giorno e, naturalmente, che avrebbe considerato quella piacevole esperienza come una breve e irripetibile parentesi di serenità nella sua esistenza tutto sommato grigia.

Hypnophobia (#wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora